Morte di Marisa Maldera: quello strano incidente fatale ricostruito ieri nella cava della Colacem di Caravate. Maldera fu la prima moglie di Giuseppe “Pippo” Piccolomo, il killer della mani mozzate, oggi condannato definitivamente all’ergastolo per l’omicidio di Carla Molinari, avvenuto nel 2009 a Cocquio Trevisago nell’abitazione di lei. Il killer le mozzò le mani forse per cancellare degli indizi. Le figlie di Piccolomo, Cinzia e Tina, da sempre, però, sostengono che fu sempre lui ad uccidere la loro madre simulando un incidente stradale avvenuto a Caravate nel febbraio 2003 alle 2 di notte.
Una strana gita in auto con una tanica di benzina messa sotto il sedile di lei, con l’auto che esce di strada e una sigaretta che finisce nel carburante. La macchina prende fuoco: Piccolomo esce quasi illeso dall’accaduto. La moglie muore carbonizzata; Piccolomo dirà: “la sua portiera era bloccata, non riuscii a salvarla”. Due mesi dopo era sposato con la giovane marocchina che faceva la lavapiatti nel ristorante di famiglia e con la quale,
secondo le figlie, l’uomo aveva già una relazione in corso. Sempre secondo le figlie Piccolomo incassò anche una misteriosa assicurazione sulla vita della consorte di cui in casa nessuno sapeva nulla, poi patteggiò una pena a nove mesi per omicidio colposo. All’epoca si credette alla tesi dell’incidente stradale nonostante le figlie dell’uomo avessero già sollevato dei dubbi. E’ stato il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda, avvalendosi del supporto di agenti scelti della squadra mobile di Varese, ad avocare due anni fa il fascicolo e a riaprire l’inchiesta.
E ieri, con un esperimento giudiziario tra i primi in Italia, Manfredda ha ricostruito quello strano incidente. Nella cava è stata portata una volvo Station Wagon identica (anche nel colore bianco) a quella sulla quale viaggiavano quella notte Maldera e il marito. Un esperimento che ha visto in campo una vera task force: squadra mobile di Varese (sul posto il funzionario Maurizio Greco), i vigili del fuoco di Luino, del nucleo specializzato di Roma, gli agenti del comando di polizia locale del Medio Verbano e i carabinieri della compagnia di Luino, oltre ai tecnici Arpa.
Un manichino vicino all’auto ha rappresentato Piccolomo. Poi alla macchina, entro la quale è stata piazzata una tanica di benzina, è stata data alle fiamme. Un innesco elettrico all’interno ha simulato la sigaretta caduta. Alle 16.20, dopo 5 ore di preparazione, la Volvo ha preso fuoco. Dentro l’auto è stata posizionata una sorta di “scatola nera” che è bruciata con l’auto inviando dati alle centraline dei vigili del fuoco. Calore, tempistiche, fumo. Ogni cosa è stata rilevata. E’ questione di giorni: il tempo ai periti di analizzare quanto ricevuto e sarà chiaro se Piccolomo, nella sua ricostruzione mentì oppure no. Impressionate vedere il manichino che si allontanava dall’auto: le fiamme ci hanno messo dieci minuti ad avvolgere l’abitacolo. Il tempo per salvare Marisa c’era. Piccolomo disse che la portiera del passeggero si era bloccata dall’interno. E anche questo particolare potrà essere riscontrata o meno. E poi ci sono stati gli scoppi: prima il parabrezza, poi i finestrini laterali. Le gomme, infine il serbatoio.
Più di dieci minuti per salvare Marisa. L’esperimento giudiziario potrebbe rappresentare la chiave di volta nell’inchiesta.