La sfida al ribasso dell’America elettorale

Caro direttore, ci meravigliamo spesso della mediocrità che tocca il dibattito politico italiano. E giustamente ce ne indigniamo. Ho assistito a recenti faccia a faccia televisivi sul referendum costituzionale e ne ho avuto conferma. Però a guardare un po’ lontano, trovo motivi di desolante consolazione. All’inizio di novembre il Paese più importante del mondo, gli Stati Uniti d’America, andrà al voto. Ci si aspetterebbe, da un luogo dove si insegna non solo la democrazia, ma il rispetto delle regole civili di una competizione elettorale,

l’esportazione di un modello esemplare di confronto politico. Succede invece che lo scadimento abbia la meglio sul profilo alto. Mi riferisco ai freschi contenuti della contesa. La dialettica degli sfidanti non si incentra sui progetti di governo degli Usa e dei rapporti con il resto del pianeta, ma sui rapporti che ha avuto e ha Trump con le donne e con quelli che ebbe, al tempo della sua carriera politica, il marito della Clinton con le medesime. Ne esce un quadro di livello assai basso, che riesce perfino nell’impresa di rivalutare il nostro. Credo che il mondo cui facevo riferimento più sopra si sarebbe meritato di meglio, e mi domando come sia possibile che accadano due eventi: che l’America non riesca ad esprimere un antagonista repubblicano di presentabilità morale sufficiente a non inquinarne la credibilità politica; e che, allo stesso modo, non sia capace di proporre un volto nuovo sul fronte democratico, come invece accadde al tempo della candidatura di Obama. Diciamo la verità: noi una Clinton l’avremmo rottamata, e dai tipi alla Trump ci siamo vaccinati da un pezzo.