Sabato scorso la Società Ciclistica Cassanese ha tagliato il traguardo dei cento anni di vita, dopo una pedalata lunga e piena di salite che ora si può rivivere (fino al 18 giugno) grazie ad una mostra in Villa Oliva a Cassano Magnago.
Nelle sale dove è allestita si possono trovare fotografie, maglie, caschi e biciclette d’epoca, preziosi testimoni delle storie che hanno contraddistinto la vita di una storica società ciclistica della provincia.
Una vita custodita e raccontata da un libro fotografico realizzato per l’occasione da Fernando Pamio, uno dei principali esponenti della Società, e dai suoi figli, che trova il suo inizio nel 1917 quando nelle fila cassanesi correva Pierino Barbati, unico tesserato della Cassanese a partecipare come indipendente a due Giri d’Italia e un Tour de France. Purtroppo i documenti dei decenni successivi sono molto pochi, ma dagli anni 50 in poi si può tornare a raccontare la corsa della Cassanese: in questo decennio i nomi di spicco sono quelli di Italo Milani e Dino Chiesa, entrambi capaci di raccogliere ottimi successi a livello regionale e non, passando poi negli anni 70 a Mario Lanzafame, l’ultimo professionista uscito dalla Cassanese e da un gruppo tanto promettente quanto sfortunato di giovani ciclisti.
Negli anni 80 la strada della società inizia a salire sempre di più, con scissioni interne sfociate poi nella fondazione di altre due società ciclistiche (per esempio la San Pietro, dove è cresciuto Ivan Basso) e con dei presidenti non proprio appassionati fino in fondo; dal 2003 però, grazie al ritorno dello storico presidente Luciano Cagnola, si è iniziata a respirare un’aria nuova, che la Cassanese vuole utilizzare per riportarsi ai fasti passati come ci racconta Fernando Pamio: «Oggi
la Cassanese può vantare soltanto le attività dei cicloamatori; sono piacevoli e soddisfacenti da portare a termine, anche perché quando ad inizio anno stiliamo il programma puntiamo a realizzarlo. Solo che il nostro obiettivo vuole essere un altro, ovvero ritornare a far crescere i giovani. È questo lo scopo che dovrebbe avere la nostra società e che purtroppo, in questo momento, non riesce a mettere in pratica per una serie di motivi, su tutti economici ma anche di pensiero; infatti i genitori sono troppo preoccupati di quello che potrebbe accadere in strada ai loro figli per lasciarli correre. Però noi non demordiamo: andremo avanti per riuscire a realizzare nuovamente questo desiderio».