La sorella di Binda intercettata: «Quella è la scrittura di Stefano»

Caso Macchi. La madre di Lidia: «Se l’hai fatto, confessa ed esci dall’inferno di questi anni»

«Ma quella è la scrittura di Stefano». È Patrizia Binda, 50 anni, la sorella del quarantanovenne di Brebbia arrestato lo scorso 15 gennaio con l’accusa di aver ucciso Lidia Macchi il 5 gennaio 1987 a pronunciare la frase. Intanto Paola Bettoni, la mamma di Lidia commenta la richiesta di rinvio a giudizio a carico del brebbiese: «Non abbiamo mai perso la speranza di arrivare alla verità, di avere giustizia – dice Bettoni – se si arriverà

ad un verdetto ne sarà felice anche Lidia. Se è stato lui spero che confessi. Se è stato lui immagino non abbia vissuto bene questi ultimi 30 anni. Se è stato lui si liberi la coscienza». Intanto la frase pronunciata da Patrizia Binda intercettata e finita negli atti dell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Carmen Manfredda rappresenta una freccia all’arco dell’accusa. Quelle parole sono state pronunciate davanti all’immagine della lettera in morte di un’amica, missiva anonima recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987 giorno delle esequie di Lidia e considerata dagli inquirenti, sin dai primi istanti, come scritta o dall’assassino o da qualcuno che del delitto conosceva molto. Per la procura generale fu Binda a scrivere quella lettera, agli inquirenti lo disse la super testimone Patrizia Bianchi (amica di Binda e di Lidia all’epoca dei fatti) anche lei riconoscendo tra quelle parole viste alla tv la grafia dell’indagato e dando nuovo impulso ad un’inchiesta ferma da 27 anni. Binda ha sempre negato: mai scritto in morte di un’amica. E alla luce di tutti questi tasselli l’intercettazione dove la sorella, subito dopo l’arresto di Binda, conferma inconsapevolmente quanto asserito dalla Bianchi assume un certo peso. «Sì c’è quell’intercettazione – commenta Sergio Martelli, codifensore di Binda con Roberto Pasella – ma non prova assolutamente nulla. È evidente che quando un familiare viene arrestato, con un’accusa gravissima, qualunque cosa diventa sospetta. Si tende a travisare, a fare valutazioni sull’onda dell’emozionalità. La verità – continua Martelli – è che è impossibile fare un’attribuzione certa al di là di ogni ragionevole dubbio sull’appartenenza della grafia di una lettera scritta in stampatello. La missiva è sicuramente stata scritta da una persona di cultura. Ma presenta esclusivamente delle suggestioni. In realtà non c’è alcun accenno diretto all’omicidio, nessun dettaglio. Si cita una notte di luna. Ma chiunque avrebbe potuto notarlo semplicemente alzando gli occhi al cielo senza necessariamente essere l’assassino». Il pg Manfredda venerdì ha chiesto il rinvio a giudizio per Binda. L’udienza preliminare dovrebbe essere fissata a breve: sicuramente prima di Natale. Binda, in caso di rinvio a giudizio, potrebbe non chiedere riti alternativi e affrontare il dibattimento.