Quando il 6 maggio 1976 la terrà tremò a Gemona del Friuli per la prima volta Omar Cecutti aveva due mesi. Del terremoto ha vissuto non la diretta ma le conseguenze: «La mia famiglia si trasferì qui a Daverio a settembre – racconta – partimmo il giorno dopo la seconda scossa. Ci appoggiammo a casa di una cugina: io, mio padre, mia madre e la mia nonna materna». Succedeva 40 anni fa.
«A Daverio siamo rimasti perché nella sventura di quella catastrofe arrivammo in provincia di Varese nel momento del boom economico – spiega Omar – Mio padre fece la spola tra Daverio e il Friuli per lavoro per due mesi; tornava nel fine settimana. Poi entrambi i miei genitori, che sono tappezzieri, trovarono subito lavoro qui».
Oggi Cecutti è un marchio noto e molto quotato. «Si misero in proprio – spiega Omar – come dicevo nella sventura avemmo fortuna».
Tutta la famiglia oggi vive a Daverio: «Qui sono cresciuto, qui abbiamo costruito tanto, ma il cuore poi ci spinge sempre verso il Friuli. Almeno un paio di volte all’anno torno a Gemona, con moglie e figli, dove abbiamo ancora la nostra casa».
La decisione di partire arrivò «perché dopo la seconda scossa praticamente l’intera zona interessata dal terremoto fu dichiarata inagibile – spiega Omar – Così donne e bambini sarebbero stati trasferiti in alcuni alberghi di Lignano che avevano messo a disposizione tutta la struttura per l’accoglienza, mentre gli uomini sarebbero rimasti nelle caserme».
La famiglia Cecutti decise di non separarsi e il giorno dopo partì per Daverio.
Omar del terremoto ha ascoltato i racconti dei genitori: «Fece un numero relativamente contenuto di morti in rapporto alla devastazione causata perché accadde alle 9 di sera – spiega – Fosse successo alle 2 di notte sarebbero rimasti tutti sotto le macerie. Mio padre racconta che era in un locale. Uscì sulla strada con la terra che letteralmente ondeggiava. Onde che lo spostarono di una decina di metri senza che lui muovesse un passo. Tutti si riversarono in strada: racconta di un fiume di gente che sembrava non avere fine. Racconta – continua Omar – dell’asfalto che ondeggiava senza spaccarsi, dell’essere attoniti, del restare in strada senza muoversi perché prendere qualunque direzione era impossibile».
I Cecutti, in casa, parlano ancora oggi friulano, non un dialetto ma una lingua vera e propria. E si parla di quella ricostruzione eccezionale fatta tutta dalla volontà degli abitanti di quella terra stupenda: un miracolo che in Italia non si è mai più ripetuto.
«Arrivarono tanti aiuti dall’Italia e dall’Europa nei giorni del terremoto – dice Omar – Anche casette prefabbricate. Si formarono come delle baraccopoli. Nel 1996 la Regione Friuli decise che ogni segno di quella catastrofe doveva essere cancellato.
Sparì quasi tutto, sparirono quelle casupole, e quest’anno il castello di Gemona è stato completamente riaperto».
Non sparisce la memoria della gente: ci sono musei e archivi con le foto. Che però hanno un pregio assoluto: non sono lì per testimoniare la distruzione, ma per documentare un eccezionale percorso di rinascita e ricostruzione.
«C’è in Friuli un cuore che batte fortissimo – conclude Omar – il terremoto da noi ha forse rallentato le cose, come il boom economico, ma non ha piegato la gente. Che ha ricostruito e poi è andata avanti, ottenendo tutto ciò che le spettava».