«Che io sappia Lidia non fu mai innamorata di Stefano Binda».
In aula l’altro ieri, durante l’udienza davanti alla Corte d’Assise presieduta da , che vede , 50 anni di Brebbia imputato per l’omicidio di , assassinata a 20 nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, hanno testimoniato le amiche della giovane studentessa.
È a dichiarare che Lidia, alla quale era molto legata soprattutto durante gli anni del liceo, non le parlò mai di Stefano Binda.
Né le confidò mai di voler aiutare qualcuno ad uscire dalla tossicodipendenza (Binda era tossicodipendente all’epoca). «Lei disse però che don (che era la guida spirituale dei giovani di Cl all’epoca) vi disse di essere prudenti con la droga e vi raccontò il caso di una ragazza che si era lasciata coinvolgere», ha detto il pm . «Ma non era Lidia – ha risposto Guzzetti – don Fabio ci disse che se qualcuno a noi vicino si fosse avvicinato alla droga avremmo dovuto rivolgerci immediatamente a un adulto. E ci raccontò la storia di questa ragazza, Letizia, che io non conoscevo. Non parlò mai di Lidia, ne Lidia ci confidò mai di voler aiutare qualcuno ad uscire dalla tossicodipendenza».
È un passaggio importante quello che sottolinea Guzzetti perché l’accusa ipotizza invece un coinvolgimento di Lidia in una sorta di “salvataggio” di Binda dalla droga. In aula è stata ascoltata anche , amica d’infanzia di Lidia, perché entrambe le famiglie avevano una roulotte in un camping a Santa Maria Maggiore, in montagna. Si conobbero che avevano 12 anni, i contatti si diradarono soltanto nell’85 quando Stanghellini si sposò.
Anche a lei Lidia non parlò mai di Stefano Binda, anche a lei il pubblico ministero ha chiesto come era Lidia: «gioiosa e intelligente». E «sarebbe mai salita sull’auto di uno sconosciuto?», ha chiesto il Pm: «No mai, non era una sprovveduta».
L’accusa dimostra che Lidia, quella sera nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio dove era andata a trovare un’amica, incontrò qualcuno che conosceva bene e del quale si fidava. Lidia conosceva e si fidava del suo assassino. C’è poi un passaggio che è stato l’avvocato , difensore di Binda con , a sottolineare. «Lidia le disse mai di avere avuto un rapporto sessuale?». «Ci fu una telefonata nella primavera dell’83 – ha detto la teste – mi disse di avere avuto un flirt durante una vacanza che era finito lì. Io ebbi la sensazione, da come parlava, che aveva avuto un primo rapporto sessuale. Forse un tentativo maldestro. Disse che era preoccupata perché aveva un ritardo di 15 giorni».
Nella lettera “In morte di un’amica”, recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987 giorno delle esequie di Lidia, missiva anonima attribuita a Binda e che per gli inquirenti scritta dall’assassino o da qualcuno che sapeva, si parla di velo squarciato.
Per i periti il riferimento è alla verginità di Lidia rubata quella notte con uno stupro al quale è poi seguito l’omicidio. Il pm ha però tagliato corto: «Ci sono prove incontrovertibili che Lidia fosse vergine quando venne violentata».