Che Sanremo sarebbe senza polemica? Non ne voleva sapere, ma alla fine è arrivata. Deflagrante come una bomba, la querelle Balivo-Leotta è scesa come pioggia benedetta dai nuvoloni che sovrastano la Riviera facendo rifiorire il terreno fertilissimo della ciancia festivaliera. Chi siamo noi per esimerci? Tutti nell’arena, orsù.
Caterina e Diletta, all’angolo: avete sbagliato tutte e due. Senza fare la classifica di chi più e chi meno, i loro errori hanno le due facce della stessa medaglia: hanno sottovalutato la potenza del mezzo che avevano tra le mani. La Balivo (come poi ha ammesso ieri nel pomeriggio, a corredo delle sue scuse in diretta tv) non ha saputo tenere a freno il ditino sulla tastiera dello smartphone; Diletta e i suoi 25 anni si sono ritrovati scaraventati sul palco più nazional popolare che ci sia prendendo forse alla leggera tutti i pro e i contro del caso.
Nel mare magnum dell’opinione e del giudizio ad ogni costo, meglio propendere per la riflessione. La Balivo, bontà sua, ha emesso il grido di dolore provocato dal dentino avvelenato con Mamma Rai che regala la sua ribalta più ambita a cotanta bellezza e bravura direttamente proveniente dalla concorrenza, come se già l’usurpazione del regno da parte di queen Maria non fosse stata abbastanza. Dall’altra parte Diletta, bellissima figliola che immaginiamo alla mercè di uno stylist assoldato con il preciso compito di trasformarsi in “fata madrina” e renderla la più strafiga dell’universo per l’occasione. L’avrebbe fatto chiunque di noi, poche storie.
Il punto è che davanti allo schermo, oltre agli assatanati animali da social, c’è sempre e ancora la sciura Pina. Che probabilmente l’altra sera si imbatteva per la prima volta nella prorompente Leotta. L’abito non fa il monaco, chi è senza peccato scagli la prima pietra, bla bla bla. Ma è questione di canali di comunicazione: il nostro abbigliamento dice qualcosa di noi, inevitabilmente. Diletta si è presentata bella da mozzare il fiato, con quella mano che, è vero, continuava ad aprire lo spacco. Di sicuro qualcuno le avrà detto di farlo, e non per aumentare l’audience ma per far “fittare” meglio il meraviglioso Alberta Ferretti che indossava. Questioni di sartoria, non di regia o di share.
Detto questo, rimarcare il dovere di dare credito a chiunque, a discapito di come è vestito, vuol dire mettere in discussione in partenza tale libertà. Come dire che una con la minigonna si cerca lo stupro, ha fatto giustamente notare la De Filippi. Ma, gioco forza, la prorompenza di Diletta ha distolto l’attenzione (che non significa aver delegittimato) dal messaggio forte, potente e sacrosanto che ha voluto lanciare ben imbeccata da Conti: il no al cyberbullismo di cui lei stessa è rimasta vittima. Non è un giudizio ma un dato di fatto considerare che se si fosse presentata in smoking o con un tubino avrebbe bucato lo stesso il video, forse ancora di più.
Nessuno deve vergognarsi della propria bellezza né tanto meno rinunciare a metterla in mostra. Ma ci sono modi e situazioni per farlo. Fosse salita sul palco per presentare una canzone e ricevere la sua giusta ovazione, sarebbe stata perfetta. Vista la sua missione dichiarata, forse ha concesso un filino troppo il fianco alle più grossolane prese di posizione.
Ultima considerazione dedicata a tutti i paladini di Dilettona nostra scagliatisi contro la Balivo: sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Rispondere con la violenza verbale allo scivolone della conduttrice vuol dire non aver capito nulla e soprattutto smentire se stessi mentre ancora si sta parlando. Vuol dire predicare bene e razzolare male.
O tempora, o mores. Beata Gigliola Cinquetti che non aveva l’età e non si vergognava ad ammetterlo.n