«L’addio di Busto Arsizio a Malpensa? Scelta per far cassa e poco saggia»

L’ex consigliere e ora senatrice Pd Erica D’Adda torna sulla vendita delle quote Sea legate all’aeroporto

– L’operazione non s’ha da fare e lo dice a chiare lettere. Ci sono molte ragioni per le quali , ex consigliere comunale di Busto Arsizio e ora senatrice del Pd, esprime pollice verso alla vendita delle quote di Sea (Società Esercizi Aeroportuali) in mano al comune.

A suo avviso, l’operazione in questione dà benefici di gran lunga inferiori ai costi e finisce per escludere la città dal novero delle decisioni su quell’aeroporto di Malpensa che contribuì a creare in passato. Insomma, una manovra inopportuna sul piano economico e sociale che rappresenta anche uno schiaffo alla storia e al prestigio di Busto.

«Che senso ha – esordisce – vendere le quote di Sea del comune per ricavare 600 mila euro che peraltro poi andranno a dare un contributo molto modesto a un bilancio molto più ampio? Peraltro poi questa somma costituisce un’entrata una tantum e poi non sarà più disponibile».

Insomma, a giudizio della senatrice bustocca, la direzione intrapresa è quella sbagliata. Perché sarà anche vero che Busto Arsizio detiene soltanto lo 0,05 delle quote. Ma lo è altrettanto, dice, che quella pur piccola percentuale consente a Busto di avere voce in capitolo su Malpensa e sul suo sviluppo. Cosa che, una volta alienate le quote, non sarà assolutamente più possibile, E, anzi, partorirà il paradossale risultato di non poter incidere su una realtà che ha fortemente voluto fin dall’inizio e per la quale ha sempre lottato.

«Vendere queste azioni e lasciare l’infrastruttura – dice D’Adda – e poi non avere più voce in capitolo per quanto riguarda Malpensa mi sembra una scelta a dir poco azzardata; certo, se mi spiegassero con dovizia di particolari le ragioni che sorreggono questa scelta sarei anche pronta a rivedere il mio giudizio ma a me sembra molto un’operazione per fare cassa attuata senza lungimiranza politica». E quindi la netta conclusione: «valeva la pena non farla».

Peraltro, in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione e da un sostanziale rimpicciolimento delle distanze tra i vari punti del mondo, finire per avere sul proprio territorio un aeroporto su cui non si potrà più incidere, aggiunge D’Adda, appare un po’ antistorico. «Con questa vendita – spiega ancora – se ne va un pezzo della nostra storia e del nostro futuro, se si fosse avuta maggiore lungimiranza nel gestire questo discorso avremmo magari un domani anche potuto allargare le nostre quote di partecipazione, chissà; magari la situazione lo avrebbe consentito; così, invece, si dà il via a un’operazione discutibile rispetto alla quale non è nemmeno possibile tornare indietro quando si sarà attuata».

E, siccome Malpensa costituisce un patrimonio della comunità e dei cittadini oltreché del comune come istituzione, D’Adda aggiunge un altro elemento d’analisi: «come spiegheremo alla cittadinanza il senso di quest’operazione – dice – come si potrà loro far capire il senso di questa scelta molto azzardata?».

Per Busto Arsizio andrebbe quindi a chiudersi un’epoca storica rispetto a una realtà con cui ha sempre intrattenuto un legame simbiotico. Tanto è che, quando sorse nel 1948 e il 21 novembre fu aperto anche al traffico civile, assunse proprio la denominazione di “Aeroporto città di Busto Arsizio”. Era quello il coronamento di un discorso partito da più lontano ovvero dalla creazione, nel 1909, di un campo di aviazione da parte degli ingegneri Giovanni Agusta e Gianni Caproni nelle vicinanze di una cascina chiamata appunto Malpensa.