L’appello della Procura:«No all’odio su Facebook»

Il procuratore capo Fontana: «Pensiamo ai figli della donna. I casi sotto esame? Sono 44»

«Chiedo ai giornalisti di veicolare questo messaggio ai cittadini: non postate commenti su Facebook nell’interesse soprattutto dei figli di Laura Taroni. Non siamo sicuri che là dove sono in questo momento ospitati non possano avere accesso ai social network e quindi leggere le cose terribili che vengono scritte su questa vicenda». È l’appello lanciato dal procuratore capo di Busto Arsizio in coda a un lungo sfogo nel quale ha voluto fare diverse precisazioni. «Laura Taroni – tuona Fontana – da quanto accertato non c’entra nulla con gli omicidi avvenuti in ospedale».

Di fianco al procuratore erano presenti anche il titolare del fascicolo, il pm , il comandante della Compagnia dei carabinieri di Saronno, e il luogotenente . Fontana ha voluto precisare anche altri aspetti dell’indagine: «Quanti sono i casi sotto la lente? – esordisce il procuratore – La consulenza disposta dalla Procura ha avuto in oggetto 9 casi di decesso, gli 8 casi esaminati dalla commissione interna, un caso segnalato dagli infermieri, 35 casi trattati dal dottor Cazzaniga: in totale 44 casi. Nel periodo tra il 2013 e il mese di giugno 2015 restano soli 6 casi da esaminare: è stata acquisita la documentazione informatica relativa agli accessi trattati dal dottor Cazzaniga negli anni 2011-2012 e dal 2015 al suo definitivo allontanamento dall’ospedale. Lo scopo è di verificare se si tratti della cosiddetta applicazione del protocollo Cazzaniga oppure no».

«Alla dottoressa Simona Sangion è contestato di aver emesso un falso certificato di pronto soccorso: non è contestato – ha sottolineato – di aver coperto un omicidio. Gli anni critici 2011-2012 devono essere ancora esaminati: ciò non significa che tutte le cartelle riguardano i casi di protocollo, i casi da esaminare sono ancora una trentina».

Fontana ha ribadito che le morti sulle quali si sta indagando sono quelle riguardanti il marito della Taroni, Massimo Guerra, e i casi di quattro pazienti: «I casi contestati sono stati esaminati dai lavori della commissione, due altri casi erano evidenti applicazioni del “protocollo”, ma le condizioni delle persone erano talmente gravi che non è stato possibile definire un nesso tra la somministrazione di farmaci e la morte».
«Di tutti i 44 casi esaminati – conclude Fontana – solo quattro sono stati contestati come omicidio volontario».