L’arcisatese superstite del Titanic «Portò con sé ricordi di piombo»

Un arcisatese sopravvissuto al Titanic. La storia di Emilio Portalupp, superstite del celebre affondamento, è nota. Ma ad Arcisate vive ancora chi Portaluppi l’ha conosciuto non solo dalle pagine dei libri, ma anche di persona.

Carlo Cavalliè il custode delle storie di Arcisate e, oltre a curare la pubblicazione “Casa Nostra”, è stato uno degli ultimi a intervistare Emilio Portaluppi.

Come molti della Valceresio il famosissimo naufrago partì alla volta degli Stati Uniti da giovane e, nel 1912, sopravvisse alla tragica vicenda navale. Ritornò in terra natia a fine anni Sessanta dove si spense pochi anni dopo. «Era il 1970, facevo il giornalista e lo intervistai –racconta Cavalli- Una persona che non appariva turbata dall’aver vissuto quel dramma. Credo che, con il trascorrere del tempo, i sui ricordi avessero perso la carica emotiva, vivendoli quasi in terza persona». Cavalli continua, parlando di quello che Portaluppi gli confessò: «Mi parlò molto dello sfarzo della prima classe che poté solo vedere da vicino viaggiando in seconda. Descrisse la frenesia che si respirava sul ponte e la voglia di battere ogni record, l’invincibilità ed orgoglio nel cavalcare l’oceano con la tecnica che domina la natura».

La leggenda vuole che il personaggio di Jack Dawson, interpretato da Leonardo Di Caprio nel celebre film del 1997, ricordi fin troppo il famoso varesino. Cavalli continua: «Durante la navigazione Emilio legò con alcuni nostri connazionali presenti sul transatlantico. Tra questi, un liutaio che era in viaggio alla volta di New York per consegnare un violino a un famoso concertista dell’epoca e un giovane addetto alle cucine, ricordato amichevolmente come Glassman (uomo dei bicchieri),

che sognava una nuova vita in America»«. Portaluppi parlò poi della tragedia. Gli attimi frenetici successivi all’impatto con l’iceberg, il panico, la fuga disperata mentre la nave s’inabissava, la famosa orchestra che suonò veramente fino alla fine. Fu testimone oculare di molti atti di eroismo, uomini che caricavano le piccole barche con donne e bambini scegliendo per se stessi la morte certa e assistendo ore dopo, ormai dalla gelida oscurità, alla grandiosità dello scafo girato in verticale e il boato della sua rottura come una barretta di polistirolo». Cavalli descrive il suo concittadino come testimone di drammi e bestialità umane, di scialuppe strabordanti che respingevano a colpi di remi chi dal profondo oceano tentava di salirvi. «Forse, parlandomi in questi attimi, Emilio fece trasparire tutto il sentimento rimasto nei ricordi, tornando poi al silenzio di morte che si distese dopo tra il mare nero e il cielo. Dando una coperta a una donna vicino guardò fuori dalla piccola scialuppa scorgendo, nel torpore dell’assideramento, i corpi congelati sull’acqua». «Portaluppi – conclude Cavalli – fu un uomo che portò con sé dei ricordi di piombo ma con i quali, da sopravvissuto della più grande tragedia navale della storia, riuscì a convivere, raccontandoli non solo agli arcisatesi ma al mondo intero».

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