La sfida dell’internazionalizzazione è uno dei punti fermi nelle strategie che le imprese italiane cercano di realizzare per ritrovare la via della crescita. Possiamo considerare superato il tempo in cui andare all’estero poteva voler dire soprattutto delocalizzare, sia per avvicinarsi ai mercati di sbocco, sia e soprattutto per ridurre i costi, in prima fila quelli del lavoro. I costi sono diminuiti anche all’interno grazie ai processi di innovazione informatica, inoltre è evidente la difficoltà di garantire all’estero
la stessa specializzazione che si può realizzare nelle fabbriche italiane.
I mercati esteri restano comunque fondamentali perché sono gli unici che possono garantire una crescita non solo quantitativa della domanda, ma anche una maggiore attenzione verso le realtà produttive tipiche dell’industria italiana. Come ha osservato il neo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia nella sua prima relazione: «I nostri prodotti hanno uno straordinario contenuto in termini di valore. È fondamentale portare i nostri prodotti e i nostri servizi nel mondo intercettando quella classe media che nei nuovi mercati si allarga e apprezza sempre di più il bello e ben fatti italiano». I punti di forza sono molti. C’è in primo piano l’immagine del Made in Italy, che va sfruttata senza retorica. C’è poi la dimensione della creatività e del design. Ma dove più è elevata la specializzazione, si pensi alle macchine utensili, fa premio la specializzazione che permette di offrire prodotti su misura. Da non dimenticare anche le potenzialità di settori tradizionali, come l’alimentare, che possono sfruttare le innovazioni sul fronte del confezionamento e della logistica. Non meno importante, quella capacità di adattamento che riesce a superare anche gli oneri di un sistema Italia che ha ancora molti punti deboli.