Così non si poteva più andare avanti. L’ultima bava di ragno che ancora teneva legato Fabrizio Frates a Varese si era ormai rotta, travolta dall’ondata sprezzata e arrabbiatissima di un palazzetto inferocito. Frattura insanabile, rapporto massacrato, fiducia terminata. Così, non si poteva più andare avanti: così, no. Andare in palestra per l’allenamento quotidiano era diventato, per i giocatori, un po’ come andare in miniera: scippati della voglia di giocare, ubriacati da estenuanti sedute di video e teoremi tecnici,
derubati del sorriso. Andare al palazzetto per la partita della domenica era diventato, per i tifosi, un penoso calvario fatto di un misto tra noia, rabbia e frustrazione da sfogare prendendosela con un allenatore malsopportato fin dal giorno della sua firma. Basta: l’aria che si respirava era diventata pesante, lontana anni luce dall’idea di pallacanestro che ha per natura chi è nato e cresciuto da queste parti. Così non si poteva più andare avanti.
Vescovi ha giocato l’ultima carta, mossa estrema per portare in spogliatoio quella serenità che quest’anno non si è mai vista: via il babau Frates e dentro Bizzozi, ma soprattutto via ogni tipo di alibi ai giocatori. Vero: il coach milanese ha un sacco di colpe. Colpe che vedevamo pure noi, sebbene fossimo convinti nel difendere Frates contro tutto e contro tutti (e siamo orgogliosi di averlo fatto, tra l’altro).
Ha la colpa di non essersi voluto calare nella realtà varesina, che piaccia o no è diversa da tutte le altre. Non ha voluto capire che qui non ci si può permettere di fare gli allenatori e basta, che il lavoro non si esaurisce con quelle quattro ore al giorno passate in palestra. Non ha voluto capire che per farsi accettare da questa gente sarebbe bastato fare un passo verso la città: farsi vedere in un bar del centro, abbozzare un sorriso bevendo un aperitivo, offrire un bianchino ai quattro affezionati che passano tutte le loro serate al palazzetto. Frates ha avuto la colpa di chiudersi in sé stesso, fin troppo innamorato delle sue scelte e delle sue convinzioni, arroccato in una strenua difesa di una squadra che invece lo stava pugnalando alle spalle. Perché se decidi di fare da scudo ai tuoi giocatori sempre e comunque, o ti chiami Mourinho o rischi di bruciarti con le tue stesse mani
Frates ha un sacco di colpe, e paga per tutti. La folla ha avuto in pasto la sua vittima e ora le cose cambieranno. E lo diciamo senza ironia, sia chiaro: vogliamo talmente bene all’uomo Stefano Bizzozi, fratello d’Africa, per non volergliene anche come allenatore. Si merita questa possibilità, e lui avrà l compito di dare un senso alle prossime dieci giornate che altrimenti sarebbero state vuote e tristi.
Le scuse, però, sono finite. Nessun giocatore avrà più il diritto si sentirsi al di sopra delle responsabilità, di cercare nel passato un credito che ormai è esaurito da tempo, di credersi vittime e campioni incompresi. Per il momento e per quanto ci riguarda, nessuno di voi si è meritato la riconferma per il prossimo anno, contratto o non contratto: tutti bocciati e tutti esonerati, esattamente come il vostro allenatore. Avete dieci giornate per dirci che non ci abbiamo capito niente, che dall’alto delle nostre penne abbiamo peccato di supponenza. Dieci giornate per meritarvi di nuovo questa maglia, e l’applauso di un pubblico che domenica scorsa ha fatto il tifo per i vostri avversari.
Varese
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