Le origini di Varese affondano nell’antichità. Ma occorre maggiore capacità di comunicare

La rinascita

Varese si sta riappropriando dei suoi musei.

Negli ultimi tempi la novità della politica culturale che riguarda i musei cittadini ha portato alla creazione di un sistema, o rete, che coinvolge istituzioni pubbliche e private con l’intento di valorizzare il patrimonio che conservano, incrementare e arricchire le proposte culturali e far conoscere i luoghi che li ospitano e che raccontano storie che meritano attenzione.

Per dirla con Umberto Eco «alcuni musei sono visitati non per le opere che contengono, ma per la magia del contenitore».

Una azione culturale lungimirante, costruita con grande sforzo comune e il prezioso sostegno di regione Lombardia dai cinque, per ora, aderenti al progetto Varesemusei, aperta anche a altre istituzioni del territorio che potranno aderire. Una buona iniziativa che sta generando anche un legittimo orgoglio della città verso i propri musei e i patrimoni d’arte che custodiscono. Fra le tante realtà, a ben guardare, spicca il Museo Civico di Villa Mirabello, con il Museo Archeologico e la sezione Risorgimentale, che racconta l’anima più vera della città e del suo territorio.

Del Museo Archeologico, le cui collezioni sono note agli archeologi internazionali, con il Centro Studi Preistorici e la sua attività di valorizzazione della storia locale, Varese deve essere orgogliosa.

È un archivio storico prezioso e articolato che documenta in un arco cronologico ampio le civiltà che hanno abitato il territorio varesino dall’età preistorica all’età tardo romana. Si è costituito nel tempo grazie alle collezioni uniche di studiosi e ricercatori e a grosse donazioni private. Fra queste quella straordinaria della famiglia del Marchese Gianfelice Ponti che nel 1937 donò la sua collezione archeologica comprendente reperti della civiltà di Golasecca e i reperti della civiltà palafitticola rinvenuti nelle stazioni dell’Isolino Virginia .

Nasce alla fine dell’Ottocento (1871) con la Società del Museo Patrio per «illustrare il territorio chiamato varesotto» attraverso una prima raccolta di oggetti ospitata in poche stanze del Palazzo del Broletto. Dopo l’acquisizione da parte del Comune nel 1891 cambierà sede più volte, compresa una sistemazione in alcuni locali al piano terra del Palazzo Estense. Affidato negli anni Trenta del Novecento a un giovane e intraprendente studioso, Mario Bertolone, sarà definitivamente collocato nel 1949 nell’attuale sede di Villa Mirabello che il Comune acquista dalla famiglia Litta Modigliani.

La figura del direttore Bertolone fu determinante nell’evoluzione della storia del museo: mentre si occupava del progetto di rinnovamento dell’esposizione delle collezioni con rigoroso metodo scientifico tesseva rapporti con ricercatori e studiosi internazionali, come il prof. Donald F. Brown dell’Università di Harvard che nel 1949 visita il museo e dichiara, forse un po’ enfaticamente per dovere verso il suo ospite: «questo è il più bel museo italiano di paleontologia che abbia mai visto».

Oggi il museo archeologico, riallestito una decina di anni fa, necessita di una efficace comunicazione magari scegliendo alcune opere come “icone” della città. Come fece Mario Bertolone, che affidò alle mani di una giovane modella la preziosissima coppa Cagnola, tazza di vetro diatreta di epoca imperiale per uno scatto fotografico a puro scopo promozionale del museo.

Il libro per approfondire le vicende: Daria Giuseppina Banchieri, Antiche Testimonianze del territorio varesino, Macchione Editore.