– Le Partite Iva under 30 e la guerra contro uno Stato che non agevola i giovani che hanno voglia di intraprendere. «La tassazione è fuori controllo, il nuovo regime dei minimi è meno conveniente del passato e i versamenti previdenziali sono esosi. Ma tutto questo non spezzerà il sogno di lavorare in proprio».
Parola di Salvina Fiardi, di Busto Arsizio, praticante commercialista in uno studio professionale a Novara, con il sogno nel cassetto di aprire una partita Iva per mettersi in proprio e avviare un’attività autonoma, una volta superato l’esame di Stato.
«Da giovane sognatrice accetto di dover pagare delle tasse piuttosto che non realizzare un sogno, anche perché la previdenza e le imposte si pagano anche da lavoratori dipendenti» il ragionamento della giovane bustese.
Che però ammette come il nuovo regime introdotto con la legge di stabilità mette dei nuovi ostacoli sulla strada dei giovani che hanno voglia di intraprendere. È quello che contesta da settimane il “popolo” dei freelance, riunito attorno all’associazione Acta in Rete: da un lato, l’aumento dal 5 al 15% della tassazione forfettaria e la diminuzione da 30mila a 15mila euro della soglia sui cosiddetti “minimi”, le partite Iva (soprattutto giovani alle prime armi con una professione) che non raggiungono un certo imponibile annuo e che hanno diritto ad una serie di facilitazioni.
Dall’altro, l’incremento graduale fino al 33% (nel 2018) dei contributi per chi è iscritto alla gestione separata dell’Inps.
Quella dei contributi è una “grana” per molti giovani che provano ad accedere alla professione: gli architetti hanno un minimo di tremila euro da versare ogni anno alla loro cassa, i commercialisti quasi 3.500 euro.
«Tassazione o non tassazione, se uno crede di poter guadagnare con un’attività, non ci sono regimi che tengono, si mette in gioco e punto – ammette Alex Gorletta, giovane imprenditore di Busto Arsizio, titolare del bar La Lanterna a Cassano Magnago –
Il problema è che il sistema non favorisce i giovani che vogliono buttarsi. Io stesso vorrei avviare un’attività parallela a quella del bar ma mi chiedo se le nuove normative agevolino davvero un giovane che vuole scommettere su se stesso o se piuttosto non siano un freno».
Ma il problema non è solo nei numeri delle tasse e dei contributi da versare: «Sono i clienti in primis a non capire questo sistema – sottolinea Gorletta – Le imprese sanno bene i rischi che corrono, se solo lo sapessero anche coloro che poi da queste imprese dovrebbero rifornirsi, magari verrebbe incentivato un “consumo” legato alle nuove aziende del territorio».
Insomma, è tutto il contesto che non aiuta i giovani. Loro però la voglia non la perdono, anche se le condizioni peggiorano da un anno all’altro. «Certo, uno che è dipendente e dovrebbe abbandonare la sua sicurezza per avviare un attività in proprio non ha nessuna convenienza con queste nuove norme» fa notare Salvina Fiardi.
Il suo ragionamento però è molto concreto, lontano da quell’ideologico dividere in bianco e nero la realtà che spesso caratterizza i dibattiti economici.
«La tassazione è alta, su questo non ci piove – ammette la giovane praticante commercialista – però per i giovani esistono comunque delle agevolazioni che riducono il carico fiscale oltre agli incentivi per le start up. Anche il nuovo regime dei minimi è agevolativo. Ad esempio per le nuove iniziative produttive il reddito sarà abbattuto di un terzo per tre anni».
«Inoltre non sono più previsti i limiti di età che erano previsti prima, mentre i contribuenti possono restare nel regime anche oltre i cinque anni e cioè fino a quando ricorrono i requisiti». Come dire, non deve essere un alibi per darla vinta ad un sistema che crede poco nei giovani.