Le primarie sono segno della vera democrazia

L’editoriale di Max Lodi

L’autunno bosino sarà soleggiato. Quando la democrazia splende, non c’è stagione di piogge, brume e oscurità che tenga. E la democrazia splenderà. Non si tratta d’una consunta figura retorica, ma d’un confortante riscontro di cronaca: se (1) un gruppo di candidati alla carica di sindaco si sfida a viso aperto, con intento di cristallina lealtà, argomentando in concreto invece che astrusamente dei destini locali; e (2) chiama a raccolta i cittadini anziché ignorarli come purtroppo accaduto per anni,

nonostante essi auspicassero il contrario su questioni numerose e cruciali; infine (3) accende le braci del dibattito, con il fuoco della più sbrigliata dialettica, il risultato finale è la declinazione d’una autentica democrazia.
Vivremo questa stagione grazie al centrosinistra. Le primarie di coalizione sono una buona idea, pur se subìta anziché progettata. Qualora il Pd fosse riuscito a trovare -o al suo interno o nella società civile- un nome condiviso, lo avrebbe presentato senz’alternative alla gara elettorale. Gli eventuali alleati si sarebbero riservati di decidere se costituire una partnership o meno con i democrats. Ma il Pd non ha pescato il jolly ed è stato costretto -rinunziando obtorto collo all’espressione unitaria- a imboccare la strada della consultazione popolare. Per fortuna di tutti è andata così, perché non c’è di meglio di concedere la parola a coloro cui solitamente è precluso d’esprimerla. Ricordiamo dunque, giusto in ossequio allo stato reale delle cose e uscendo dalle more del conformismo imperante, che siamo di fronte a una virtuosità obbligata.
Peraltro le vicende d’un anno-due-tre fa documentano che ricorrere al giudizio della gente non costituisce un evento sporadico/velleitario/miracolistico. Ciascuno rammenterà quanti episodi abbiano dato spunto a iniziative di tal segno per obiettare alle scelte municipali: le più significative, quelle avverse alla realizzazione di due parcheggi, il primo sotto il parco di Villa Augusta a Giubiano e il secondo sul curvone della Prima Cappella, di fronte alla chiesetta dell’Immacolata. Si deve alla coscienza civica dei varesini la raccolta di firme, oggetto di straordinario successo, tenutasi in entrambe le circostanze, dimostrative della voglia di coinvolgimento amministrativo, della disinteressata attenzione a cambiare i destini urbani, del tesoro d’impegno disponibile per chi lo voglia davvero cercare.
Oggi si può dire che il filone, ben lontano dall’esaurirsi, resiste in una provvida continuità; che a una serie di mobilitazioni, seguirà l’ennesima; che i perplessi ad affidarsi a un felice assemblearismo (l’assemblearismo non è sempre infelice), han dovuto accettarne la regola egualitaria; che dall’alto non ci cadrà nulla sulla testa, e invece dal basso si potrà stabilire quali far cadere, con ogni dovuto rispetto.
Obiettivamente, non è roba usuale, e quindi vale rallegrarsi. Vale farlo anche in ragione del profilo dei candidati sindaco: varesini che vogliono bene a Varese, ciascuno al suo personale modo, con la sua eredità storica, i suoi titoli di merito, la sua etica della conoscenza (nei confronti del presente) e della responsabilità (verso le sorti future). Di sicuro sarà una competizione tra galantuomini, categoria/albo d’oro cui non è mai superfluo aggiungere nomi, e al vincitore toccheranno due incombenze: la prima, tenere accanto a sé i vinti, così da sfidare a ranghi compatti i rivali del centrodestra, nelle elezioni della primavera ventura; la seconda, temere le risorse del blocco moderato-conservatore che governa da vent’anni, e non intende certo abdicare. La partita s’annuncia lunga, magari (certamente?) fino ai supplementari d’un ballottaggio conclusivo.