A tutti i bimbi piacciono i fuochi d’artificio. Piacevano a noi da piccoli, piacciono ai miei figli e piacciono ai vostri. E quindi sì, certo, li avremmo portati a vedere i fuochi. Se giovedì sera fossimo stati a Nizza saremmo andati tutti là sul lungomare, con gli occhi al cielo e i pargoli in braccio. Non è un caso, secondo il primo bilancio della strage, che siano proprio i minori (fonti ufficiali parlano di «una decina di bambini uccisi» e oltre trenta feriti) a pagare il prezzo più alto di quello che -ammesso che abbia senso stilare la classifica dell’orrore- è un attentato di crudeltà rivoltante e inaudita come pochi.
Stavolta è diverso, stavolta fa ancora più male: se la redazione di Charlie Hebdo era per molti un universo sconosciuto e il Bataclan, benché più famigliare, non certo uno scenario del nostro quotidiano, i fuochi d’artificio sul lungomare sono da sempre la nostra estate. E se ci fossimo trovati nel cuore di quella Costa Azzurra che non meno della Liguria è la residenza estiva di varesini e milanesi, esattamente lì saremmo andati giovedì sera: sulla Promenade des Anglais, davanti al Negresco, a vedere lo spettacolo.
Stavolta sarebbe toccato a noi e ai nostri figli: una consapevolezza greve, da cui non si torna indietro. Da mesi ormai ci sentiamo ripetere che sta sotto attacco il nostro stile di vita, ma l’epifania vera – lancinante e definitiva – è arrivata l’altro ieri, nel vedere imbrattata di sangue la più classica delle nostre cartoline estive: i fuochi d’artificio sul mare, che d’ora in poi non potranno mai e poi mai rappresentare una festa.