Ci si incontra, ci si abbraccia, ci si scambia un augurio per qualcosa di meglio. A prescindere. Potrebbe essere stato un anno dignitoso con le solite altalene di gioie e dolori, soddisfazioni e fregature, quindi nella media. Ma ne attendiamo la fine con frenesia perché, comunque, può sempre andare meglio. Noi umani tendiamo spesso a piangerci addosso. Forse è fisiologico, forse serve per caricarsi, per esorcizzare lo sconforto. E noi biancorossi, umani lo siamo molto più
di altri.
Leggo sui social, ascolto allo stadio, ne parlo con amici. Tutti, o quantomeno una buona parte, conta i secondi, attende solo la fine «di questo anno maledetto!». Bene. Perché? Cosa è successo, per i colori che amiamo, di tanto disdicevole?
Certo, forse non ha portato carico di oro, né di incenso, men che meno di mirra, ma ci ha consentito di vivere, badate bene, non di sopravvivere, ma di gustare appieno tutte le emozioni che una palla rotolante sa regalare. E il pallone biancorosso, a volte, ruzzola e precipita, assume strane traiettorie, rimbalza in disordine. Così siamo noi. Come i colori che si intrecciano nelle lavatrici della disperata Rosi, un miscuglio di divise, un groviglio. Ma quando l’umanità si organizza troppo perde le sue qualità fondamentali, i suoi istinti, i suoi piaceri, il gusto della spontaneità, il tesoro di un gesto.
Il nostro stile di vita ruota attorno al vincere ad ogni costo, al gusto dell’opulenza imposto dalla tv, al moralismo idiota, ai grattacieli di vetro. La vita fatta di vittorie o sconfitte. Non è vero. Esiste anche il pareggio che abitua a dividersi le cose, tiene a freno l’ansia e consente di scoprire piccoli piaceri e gesti solidali.
Anno da dimenticare. Perché? Una famiglia che si muove spinta dal piacere di esserci, gli autisti dei pullmini del settore giovanile che vanno oltre i loro compiti, dirigenti factotum, Massimo e Veronica, tutor del “convitto”, genitori aggiunti per i ragazzi lontano dai loro affetti, Allenatori, segretari e responsabili tecnici maiuscoli in tutto. E poi vedi Pino Papa e Antonio Rossaro, 160 anni in due, colorare di passione il sintetico “Speroni”, guardi la Gabbietta Martino, lo striscione per il Peo, il murales di Alex Randa, ricordi gli amici che non ci sono più. Osservi il Betti che striglia la truppa e poi viene a salutare i bambini. Eccolo il nostro Oro, ciò che è impresso sulle maglie. Tutto questo è Oro in Biancorosso.
E io non voglio dimenticare nulla di tutto ciò. Da Parabiago all’errore di Plasmati contro la Sampdoria. Dai sorrisi del Dante e la Enza, all’energia di Marco Bof, alla filosofia di Olly. Ho tutto nel mio cuore. A tutti noi! Grazie per quello che fate e come lo fate. Non sono né auguri, né parole di circostanza. È un pensiero, una sensazione di gratitudine. Nulla può ripagare l’impegno e la passione profusi.
Non mi importa un accidente di come sarà il 2015, il brindisi non è un rito magico che trasforma il fango in oro. Siamo noi che disegniamo il nostro destino. Giù la testa e pedalare. È da Varese, è da biancorossi. Sappiamo cosa ci aspetta ma, al contrario di Leonida e dei suoi opliti alle Porte Calde, noi non ceneremo nell’Ade. Forza Varese.