Parolacce. Insulti. Giudizi non richiesti, nel migliore dei casi. Opinioni gratuite e spesso del tutto immotivate, ragionamenti campati per aria, ricerche di scontri verbali ad ogni costo. Oggi avere un profilo su un social network e magari coltivare l’ardire di poter esprimere liberamente la propria opinione è diventato una guerra di sopravvivenza e non un diletto. Sono lontani i tempi in cui era bello aprire un profilo Facebook per vedere le foto al limite della censura dell’amico
partito per l’Erasmus, per condividere più velocemente i ricordi di serate o vacanze passate insieme, per spiare le nuove fidanzate dell’ex e farsi un bel pianto autolesionista dopo avergli mandato l’ennesimo, patetico “poke” nel vano tentativo di farsi notare. Oggi se vi svegliate bene e decidete di postare un selfie in cui vi sentite particolarmente in grazia col mondo intero sappiate che arriverà sistematicamente la parente invadente ad obiettare: «Sì gioia, ma che occhiaie…avrai mica ripreso a fumare?». Se viceversa vi siete alzate col piede sbagliato e condividete, che so, una frase di Bukowski sulla miserabilità dell’universo arriverà in un baleno l’amica che vive nel paese degli unicorni a rammentarvi che «insomma, sei sempre così arrabbiata…». Tutto ruota intorno alla parola libertà, per la quale intere generazioni hanno combattuto e che oggi si è trasformata in una spada di Damocle che pende costantemente sulle nostre teste. Libertà di essere ciò che siamo, di esprimere quel che sentiamo, di condividere le nostre passioni ed essere fieri di farlo. Ma dall’altra parte c’è anche la tanto sbandierata libertà di opinione, che spesso scade però nel fastidioso “dovere” di opinione. Perché dovremmo sempre ritenere che il nostro pensiero possa interessare a chicchessia? Da quando siamo diventati così egocentrici al punto di ritenere che il nostro giudizio sia essenziale su qualsivoglia argomento? Cosa può spingere una persona assennata a commentare “Muori drogato” su Youtube sotto l’ultimo videoclip della rockstar di turno? Cosa pensate che cambi nella vita del suddetto vip? Certo, si potrebbe obiettare che una volta si stava meglio quando tutti eravamo molto meno esibizionisti. Ma è un gioco alla deresponsabilizzazione troppo facile e troppo pericoloso. Se mi risulta scontato e anzi doveroso attaccare su internet chi non la pensa come me, posso forse stupirmi e indignarmi perché su un autobus alcuni convinti etero picchiano un ragazzo «perché sembrava gay»?
Ha ragione da vendere Selvaggia Lucarelli nella nostra intervista quando parla della necessità di educare al web nelle scuole. Invece spesso il computer, il social network diventa la tata a cui affidare i nostri ragazzi, «così almeno stanno in casa e non si ubriacano in discoteca». Non capendo invece che, nel momento in cui gli diamo un account, gli stiamo affidando tra le mani una miccia accesa. Pronta a scoppiare in mani poco esperte, in anime non ancora plasmate (ma lo diventano mai, realmente?) alla sopportazione dell’ignoranza e della cattiveria altrui. Tutte pronte a sfottere la cellulite della starlette di turno, le Gisele Bundchen di casa nostra. Tutti lestissimi a notare che la neo Miss Italia ha i tratti mascolini, quelli che la sera nel lettone si coricano con Cindy Crawford. C’è un esercizio educativo che non va più di moda e sarebbe il caso di rispolverare: si chiama esame di coscienza. E non nuoce nemmeno gravemente alla salute. Facciamone buon uso e spegniamo ogni tanto smartphone e pc. Per esempio: abbiamo notato che spettacolo di tramonti ci sono in queste serate? Ah sì, certo. Li abbiamo appena instagrammati…