Un Ligabue che non t’aspetti. Più intimo e composto, “Quasi acustico”, come cita il titolo del tour. Ma forse è proprio nel “quasi” che risiede una specie di personale coerenza con la sua anima rock. Armato di chitarra acustica, banjo, dobro, armonica, bouzouki, in un allestimento sobrio tra divanetti, quasi a volerci accogliere nel salotto di casa sua, per definire la “Linea sottile” che c’è tra cantare e parlare. Prima di tutto a sé stessi e poi alla gente. Che per il Liga è sempre tanta. Anche ieri sera al Teatro di Varese riempito fino all’ultimo posto, oltre che sugli scalini tra una zona di file e l’altra. E dove la tentazione di alzarsi e “ballare sul mondo” è stata decisamente più forte dell’istinto, troppo comodo, di tenersi incollati alle poltrone.
Un Liga diverso da colui che ci ha cresciuti a lambrusco, pop corn, coltelli, e sogni di rock’roll. Ma per certi aspetti, probabilmente più “autentico”, abile, com’è stato, a riportarci all’attimo preciso in cui tutte le sue canzoni nascono, ovvero su una chitarra acustica. Una veste sicuramente più vicina ai primi respiri di un testo e di una musica su cui solo in un secondo momento ci si gioca su, quando si aggiungono altri strumenti,
ma tra i quali (forse) si smarrisce un pizzico della malinconia che spesso dà vita a canzoni fatte solamente di voce e chitarra. Un modo onesto e sincero per riappropriarsene, mostrarcele, regalarcele, nella loro essenza più pura, senza troppi orpelli, come non le avevamo mai ascoltate. Ma “Niente paura” – per citare il titolo di uno dei suoi brani, il rocker di Correggio non si perde in slanci nostalgici. E’ lì per cantare passando da “Una vita da mediano”, con cui apre il concerto, alla conferma di quanto per lui cantare e vivere siano “Un atto di fede” fino a “Ho messo via”, a “Quando canterai la tua canzone”, o la mitica “Certe notti”. Tutte vestite di nuovo.
E il Liga “Tra palco e realtà”, inserita anch’essa nella scaletta varesina sembra sia lì per insegnarci a cosa servano le canzoni: ad emozionarci, a farci ballare, cantare, piangere o sorridere. E a ribadirci, a piena voce, la forza che le abita, insieme a quella capacità inspiegabile, a volte, se vogliamo, anche un po’ “bastarda” che hanno le canzoni, di finirti dentro, attraverso un percorso del tutto imprevedibile. E come un gradito “Colpo all’anima”, è proprio lì, dentro ognuno di noi, in una sorta di zona franca, che le canzoni si depositano e albergano senza pagare l’affitto. Lì scolpite anche per darci la speranza e la percezione, quanto il cielo sia – per dirla più o meno con le sue parole – “leggero, ma mai vuoto”. “Le donne lo sanno”. E lo sanno anche gli uomini, meglio di tutti, lo sa il Liga.
Barbara Rizzo
v.colombo
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