Il lavoro che cambia con la tecnologia: per Massimiliano Serati, professore associato di politica economica alla Liuc, la storia ci insegna che «alla lunga, con una giusta dose di pazienza, l’effetto di compensazione prevale sull’effetto di sostituzione». In soldoni: l’innovazione tecnologica crea più posti di lavoro di quanti ne distrugge. Un tema attualissimo, alla vigilia di quella che viene definita come la “quarta rivoluzione industriale”, quella all’insegna delle “intelligenze artificiali”.
Gli straordinari filmati “scovati” nei preziosissimi Archivi del Cinema Industriale e dell’Istituto Luce Cinecittà – dal documentario sugli stabilimenti delle Manifatture Cotoniere Meridionali nel napoletano della fine anni ‘20 alla video-inchiesta sul distretto tessile di Carpi della Settimana Incom del 1964 fino ad un documentario del 2005 sul lavoro in una fabbrica cinese di blue jeans destinati al mercato occidentale – sono nuovamente lo spunto per riflettere sui cambiamenti nell’economia, nell’ultimo appuntamento del ciclo “Impresa e Cultura” organizzato dalla Liuc con il patrocinio della Fondazione Comunitaria del Varesotto e dell’assessorato alla cultura della Città di Castellanza.
«I filmati sono eloquenti – sottolinea Massimiliano Serati, professore associato di politica economica dell’università Cattaneo – dopo tante rivoluzioni industriali e passaggi di innovazione tecnologica, il livello complessivo di benessere diffuso è aumentato ed è migliorata, seppur non essendo perfetta né ottimale o ulteriormente migliorabile, la condizione di lavoro». Ma alla domanda «se le macchine uccidono il lavoro o creano nuove opportunità?», lo stesso docente non ha una risposta certa. Anche se «il tema della distruzione creatrice ci dà
un tentativo di risposta – sottolinea Serati – è un dato di fatto che ogni volta che una nuova grande tecnologia sostituisce le precedenti, per un po’ prevale l’effetto di sostituzione, ma se guardiamo con un orizzonte più lungo con una giusta dose di pazienza, il gioco cambia e succede che prevale l’effetto di compensazione». Dunque, se nel breve periodo l’impressione è che l’automazione industriale faccia sparire posti di lavoro, è probabile che «tra dieci anni scopriremo che ne ha creati più di quanti ne ha distrutti». Nell’attesa, spiega l’esperto, il compito delle classi dirigenti «è far sì che i tempi di “recupero” si accorcino il più in fretta possibile». Ma Serati guarda alla quarta rivoluzione industriale con fiducia: «Ci aspetta un nuovo mondo, che al di là delle competenze tecniche richiede competenze trasversali, come pensiero critico, creatività, problem solving – sostiene il prof. – in passato le tecnologie erano orientate alla ripetizione, quelle nuove sono orientate alla precisione e alla creatività. Per quanto potranno prendere il posto delle persone, sono talmente raffinate e in grado di evolversi da richiedere sempre più persone che se ne occupino e ne indirizzino gli effetti. Ci conforta l’idea che, essendo tecnologie più creative, richiedano un affiancamento di cervello umano».