Il famoso detto tutto italiano “Si stava meglio quando si stava peggio” è destinato a rappresentare al meglio la storia politica del nostro Paese.
Quando sembra di aver toccato il fondo, in Italia, si scopre poi che c’è sempre un livello verso il quale la credibilità della nostra classe politica può sprofondare.
L’esempio è quello del congresso dell’assemblea del Partito democratico, che assomiglia molto ad un organismo vivente che sta cannibalizzando se stesso. Il problema è che questo organismo è ancora il partito di maggioranza in Parlamento, è la forza politica che dovrebbe guidare e dare stabilità al Paese.
Già, la parola “stabilità” non è mai stata molto coerente con le vicende dell’Italia repubblicana, che per timore di un rigurgito autoritario (timore che ha avuto senso per qualche decennio, ma ormai è passato) ha di fatto creato un sistema fondato sulla debolezza degli esecutivi e la strapotenza della burocrazia.
Nel bene o nel male, piaccia o non piaccia, con il progetto della Riforma costituzionale, affondata dalle urne, Matteo Renzi ha cercato di portare un cambiamento. Come cercò di farlo Silvio Berlusconi nel 2006. Entrambe le proposte bocciate.
L’Italia rimane immobile, ferma. E all’interno del Pd, quello cui stiamo assistendo, non appare da fuori il tentativo di andare avanti. Ma di tornare indietro. È il tentativo di rivalsa degli sconfitti.