Chissà cosa direbbe oggi Leo Longanesi, instancabile esploratore dei mille tic che affliggevano la società italiana del secondo dopoguerra. Fu lui a proporre di inserire il motto “Tengo famiglia” nel tricolore, a imperituro simbolo del doppiopesismo italico in tema di regole, etica, senso civico. Che il nostro sia un popolo dalla visione, diciamo così, “multipla” lo testimoniano storia, cronaca, atteggiamenti. Abbiamo cominciato le guerre con un alleato, le abbiamo finite a braccetto degli antichi nemici. Invochiamo, dai divieti di sosta alla formaggella di valle, regole inflessibili, salvo poi infrangerle con disinvoltura perché “abbiamo dovuto”.
L’ultimo, significativo, episodio è accaduto nei giorni scorsi a Milano, dove la prefettura ha disposto l’invio di un gruppo di migranti nella caserma Montello, tra Bullona e Ghisolfa. La sera Casa Pound, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno organizzato un presidio contro l’arrivo degli stranieri. Troppo poco per quel tale che sui social – nascondendosi dietro l’anonimato – invocava: “Forza milanesi, occupate la caserma non lasciate entrare ‘sti gaglioffi che portano solo disordine e delinquenza, bisogna difendersi da questa maledetta dittatura”. Il mattino successivo, lo stesso spazio è stato occupato dal Comitato zona 8 solidale che ha offerto musica e abbracci ai nuovi arrivati, sotto lo striscione: “Marhaba, benvenuti, welcome”.
Chissà cosa avranno pensato di noi quelle donne e quegli uomini giunti dall’Eritrea, dall’Etiopia e dalla Somalia. Forse invece di “Tengo famiglia”, nella bandiera bisognerebbe stampare l’immagine di Giano Bifronte, il dio che troppo spesso ci rappresenta.