Nella notte del 29 aprile 2019, lungo la Provinciale 69 tra Laveno e Castelveccana, un automobilista svizzero di quarantacinque anni, residente a Locarno, guidava una BMW insieme alla sua compagna. La tranquilla serata trascorsa sulla sponda lombarda del lago Maggiore venne improvvisamente interrotta quando si accorsero di essere inseguiti da un’altra vettura. Quest’ultima, lampeggiando continuamente, effettuava sorpassi rischiosi e procedeva in modo erratico. La situazione si fece ancor più tesa quando l’auto inseguitrice li raggiunse e li bloccò in un parcheggio. Da questo punto in poi, le testimonianze dei due conducenti divergono significativamente, portando il caso in tribunale.
Il residente di Laveno, durante il processo, ha raccontato di essere partito all’inseguimento della vettura svizzera convinto che fossero stati coinvolti in un incidente, con conseguente danneggiamento del suo specchietto retrovisore. Nonostante i suoi tentativi di farli fermare, gli occupanti della BMW non si arrestarono. Decise quindi di seguirli fino a bloccarli lungo la strada. In quel momento, il conducente svizzero scese dall’auto brandendo una catena, intimando alla sua compagna di rientrare nel veicolo e gestendo la situazione personalmente. Sebbene non sia stato esplicitamente minacciato di morte, la persona offesa ha precisato che la situazione gli è apparsa molto chiara e intimidatoria, soprattutto considerando il contesto buio e isolato, e il fatto che lo svizzero impugnasse una pesante catena.
Il cittadino svizzero, difeso dall’avvocato Federica Beltrame, ha respinto categoricamente le accuse mosse contro di lui. Ha sostenuto che non c’era stato alcun contatto tra le due vetture e che lo specchietto retrovisore della vettura del lavenese era intatto. Inoltre, ha negato di avere mai posseduto una catena in macchina, tesi confermata anche dalla sua compagna. Ora spetta al giudice valutare le prove e stabilire la verità durante la discussione che si terrà a febbraio 2025, seguita dalla pronuncia della sentenza.