Storie che iniziano, vivono e poi finiscono. Scenari che cambiano, quotidianità che si colorano di sfumature diverse. Così vanno le cose, per tutti quanti: pure per Michele Lo Nero. L’altro ieri tra i padri fondatori del consorzio Varese nel Cuore, ieri uomo che viveva di pane e pallacanestro, oggi semplice tifoso della squadra di basket. «Chiamatemi – ci sussurra – presidente uscente»: tra qualche settimana, si alzerà dalla sua sedia di numero uno del consorzio per lasciare il posto a qualcun altro.
«È giusto così – dice Lo Nero – tutte le storie hanno la loro fine e dopo una serie di valutazioni e qualche notte insonne ho capito che era arrivato il momento di passare la mano. Io al consorzio ho dato tanto, ora è giusto che arrivi qualcuno con nuove energie, idee diverse. L’avventura va avanti». Eppure questo consorzio è un po’ una sua ceratura: e ci viene difficile pensare che non le dispiaccia nemmeno un po’ farsi da parte. «No, bisogna mettere in chiaro una cosa: Varese nel cuore non è una mia creatura, ma una creatura di tutti i consorziati e di tutti i varesini. È una creatura a cui abbiamo insegnato a camminare e che continuerà a camminare: sulla stessa strada, con gambe diverse».
Uno sguardo indietro a cercare la cosa più bella di questi quattro anni: «La stagione degli indimenticabili è stata splendida, è stata perfetta: intensa, incredibile. Certo, sarebbe stato bello fare un passo in più: avremmo meritato di vincere qualcosa, ci siamo arrivati vicino per due volte. Però ricorderò sempre quella stagione come la più bella e il canestro di Sakota a Siena come uno dei momenti più intensi. Ma se davvero devo scegliere la cosa migliore fatta in questi anni, dico la squadra di basket in carrozzina. Aver contribuito alla sua nascita è un onore e qualcosa che mi porterò sempre dentro».
Un altro sguardo indietro, a cercare la cosa da cancellare in questi quattro anni: «Abbiamo, ho fatto tanti errori: cose che col senno di poi non rifarei o farei in un modo diverso. Ma la cosa bella è che non ho nessun rimpianto: è stata un’esperienza indimenticabile e ringrazio tutti quelli che mi hanno affiancato. Abbiamo preso una società più morta che viva e l’abbiamo riportata in alto. E con tutti gli errori che possiamo aver commesso, questa cosa non ce la toglierà nessuno».
Tra qualche settimana il consorzio avrà un nuovo presidente e Michele Lo Nero continuerà ad andare al palazzetto da semplice tifoso. «Anche perché quest’anno sarà bellissimo: l’antipasto che abbiamo avuto nel derby con Cantù ci ha fatto intravvedere quello che vivremo da qui in avanti. E nessuno ha voglia di perderselo». Una parola, anzi un nome: Gianmarco Pozzecco. «Il Poz è passione, ma una passione particolare: perché lui non soltanto la vive, ma riesce anche a trasmetterla agli altri. La società non poteva fare scelta migliore, perché Gianmarco fin dal primo giorno ha sposato e condiviso il progetto di Varese senza farsi domande sul budget e senza porsi dubbi. Ha detto sì, spinto da un amore devastante che ha per questa città e per questi colori. L’allenatore doveva essere lui, doveva essere lui per forza di cose. Lui e basta».
E visto che siam qui a parlare di nomi, chiudiamo con un nome che non è qualunque: non lo è per noi, non lo è per Michele Lo Nero. Renzo Cimberio. «Il Cavaliere si merita tutto: tutto l’affetto che la gente di Varese gli sta riservando, tutti gli attestati di stima da parte della società e della squadra. Senza di lui non ce l’avremmo fatta e al momento non posso che ribadire quello che pensa ogni varesino. Il Cavaliere deve tornare al suo posto: sulla sua sedia dietro la panchina. Perché domenica sera, nella bellezza di tutto quello che ci stava succedendo attorno, quel vuoto stonava e faceva male. Sulla sirena, mentre il Poz saltava come un grillo impazzito sotto la curva, io ho pensato a lui. No, non esiste una Varese senza Cimberio: ogni tifoso lo aspetta».