Era stato il film della prima proiezione del Concorso ufficiale del Festival di Locarno 2014 e, smentendo la teoria dei titoli da premio riservati alle giornate conclusive, ha conquistato il Pardo d’oro: s’intitola “From what is before” e batte bandiera filippina.
Cinema d’autore: Lav Diaz, il regista, oltre che produttore, ha firmato sceneggiatura e fotografia (in nero e bianco) e collaborato al montaggio di un film che può ben dirsi evento con i suoi 338 minuti di proiezione per raccontare la tragedia di una nazione sul piano inclinato della dittatura militare (è il 1972, Ferdinand E.Marcos proclama la legge nariziale). Con il suo metraggio da primato “From what is before” conferma di essere un film da Festival di Locarno anche attraverso i riconoscimenti delle giurie indipendenti, di cui ha fatto una piccola incetta: il premio Fipresci dei critici cinematografici, quello della Federation of film societies e anche un premio della Giuria dei giovani.
Nel palmarés del Concorso internazionale il premio alla migliore interpretazione maschile – all’attore Artem Bystrov – illumina un film russo, “Durak”, che riverbera la disperazione di un’intera società destinata al disastro. L’altra sezione competitiva, Cineasti del presente, ha assegnato il suo Pardo a “Navajazo” di Ricard Silva, un film messicano che ha la città di Tijuana, sul confine con gli Stati Uniti, come convergenza di finzione e di documentario; al siciliano Simone Rapisarda Casanova per “La creazione del significato” – memorie partigiane e rabbiosi echi d’attualità in un recesso delle Apuane – che il Canada ha coprodotto con l’Italia ha invece riservato il riconoscimento al miglior regista emergente.
La partecipazione italiana al Concorso internazionale si è risolta con un piccolo premio a “Perfidia”, che Bonifacio Angius ha girato nella sua Sardegna: glielo ha assegnato la Giuria dei giovani, il che è pur sempre di qualche conforto. Il premio della giuria più larga, quella degli spettatori paganti, il pubblico della Piazza grande, è andato a “Schweizer golden” (Eroi svizzeri) di Peter Luisi, con pieno merito della tragicomica messinscena del “Gugliemo Tell” da parte di un’estemporanea, colorita compagnia di candidati all’asilo politico in terra elvetica (e non perché il film giocasse, per così dire, in casa).
Le ultime serate del Festival hanno avuto, venerdì, una doppia protagonista in Juliette Binoche che ha ritirato l’Excellence Award ed è l’interprete di “Sils Maria”, il film di Olivier Assayas – un film che parla della vita e del teatro, o del teatro della vita – recuperato per la Piazza da Cannes, dove era in concorso con un cast femminile di tutte stelle (Cloë Grace Moretz e Kristen Stewart). Come il titolo annuncia, il film si ambienta in Engadina, con tanto di promozione sin direbbe cineturistica del suggestivo cielo sopra il Maloia (e dei tailleur Chanel del personaggio di Juliette Binoche).
Ieri, infine, la passerella dei vincitori ha restituito al palcoscenico del Festival un carpet dal colore più consono alle scelte di carattere marcatamente cinefilo di selezione e giurie (quella maggiore era presieduta dall’italiano Gianfranco Rosi) concludendo l’edizione numero 67 con la proiezione di “Geronimo”, di Tony Gatlif, come tutti i film del regista francese popolato di gitani.
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