La finale salvezza si presenta, sulla carta, come una sfida impari. Da una parte c’è una grande squadra come il Novara che un anno fa ha battuto due volte l’Inter e che è partita per tornare in serie A con velleità faraoniche. E, soprattutto, che vive nel benessere e nell’agio grazie a un magnate come De Salvo, alle banche, agli occhiolini dell’informazione che conta, al lussuoso Novarello – un centro sportivo come un’astronave – studiato perfino all’estero: ce lo ha ricordato con grande imparzialità, equidistanza e sportività il signor Criscitiello (quello che in tribuna al Piola esulta ad ogni accenno di attacco novarese come nemmeno a un gol di Paolo Rossi ai Mundial ’82).
Dall’altra parte ci siamo noi che veniamo sbefeggiati da una stagione intera (un ex è venuto ad augurarci in faccia la serie “C”, un altro ci ha mostrato il dito medio), con la miseria di un solo campetto sintetico per gli allenamenti dove giocano indifferentemente i bimbi del Caccia, gli scapoli e ammogliati del calcetto serale e la prima squadra. Non abbiamo banche, né magnati, e nemmeno un parcheggio per i nostri tifosi a Masnago.
Questo è il Novara-Varese che ci piace: l’odore dei soldi contro quello del sangue. Sannino direbbe: «Ragazzi, scaviamo ancora e usciamo da questa miniera». Invece cogliamo qua e là, tra un rifiorire di serenità e facce giuste, un ultimo refolo di puzza sotto il naso, frutto malato d’una stagione (forse due) vissuta da signori viziati e arricchiti, quando invece il Varese è dannazione, povertà, «calci in c.» (citazione soglianesca e sanniniana). Per riportare in auge i valori originali – gavetta, verità, semplicità, umanità, amicizia ma anche corsa, nervi, impatto, disperazione, gruppo, sostegno, destino, vincere o morire – ci sono voluti Bettinelli e Belluzzo ma in partite come questa è meglio entrare col dubbio dell’inferiorità e con qualche ferita spalancata, piuttosto che con la granitica certezza di farcela, affiorata un po’ troppo in superficie: altrimenti come fai a tirare fuori più di quello che hai dentro?
Il Varese un giorno (due giorni) senza futuro li vive e li doma con Forte, Falcone, Barberis, Momenté o Bjelanovic, brutti anatroccoli dimenticati o semisconosciuti, ma deve credere di non doverli (volerli) cambiare con Rubino o Gonzalez. Il Varese si salva da sfavorito e non con la superiorità di due risultati su tre, o sfogliando i nomi in rosa. Si salva perché esistono ancora signori Nessuno – che davvero si credono Nessuno – come Bettinelli e Belluzzo, o come mille persone non occasionali perché sono quelle di Cremona o del Bentegodi, cioè quelle sempre presenti in casa. Loro, di fronte a diecimila ululati novaresi, si uniranno in modo così formidabile in palle (carne) da cannone, facendo esplodere il cannone che vuole spararli in serie C.
Andrea Confalonieri
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