In nome di Lidia: 3.500 euro per i giovani, orfani e malati dell’Africa.
Forse non molti conoscono la Fondazione Lidia Macchi, perché non è mai stata sotto i riflettori, tuttavia da quasi trent’anni opera in maniera pragmatica per aiutare chi soffre o ha bisogno d’aiuto.
Perciò, come di consueto, quando lo scorso 18 aprile si sono svolti i funerali di papà Giorgio, tutti gli amici e i sostenitori della fondazione hanno voluto contribuire ad una nuova raccolta.
/>«La Fondazione è nata poco dopo la morte di Lidia», racconta , medico varesino sessantaduenne, appena tornato in Uganda, dove ha lavorato 29 anni per l’Avsi, e che qualche anno fa aveva accettato la sfida di occuparsi di Expo 2015, diventando direttore del progetto cluster.
«Durate la messa dei funerali della ragazza era stata proprio la sua famiglia ad annunciare che avrebbe creato una realtà per ricordarla e che l’avrebbe dedicata ai giovani – come era lei – dell’Africa. Scelsero l’Uganda perché all’epoca c’era una coppia di amici che era appena partita per vivere e operare proprio lì».
Di fatto in tutti questi anni la fondazione «ha finanziato vari progetti attraverso raccolte fondi realizzate nelle maniere più diverse. Dalle cene conviviali ai battesimi: chi voleva aderire dava fondi per le idee da realizzare».
In questo modo hanno preso vita diverse realtà che esistono tutt’ore. «Il primo progetto riguardava la creazione del “Centro Giovanile Lidia Macchi” a Kampala, una struttura grande e ancora attiva, curata dai missionari comboniani. Laggiù il 50 per cento della popolazione è sotto i 18 anni».
Tutte proposte concrete e realizzate con sistematicità.
«Ricordo che la famiglia, circa un anno e mezzo dopo morte Lidia, partecipò all’inaugurazione del centro cui aveva contribuito in modo importante».
Il secondo progetto, invece, è stata la costituzione con «l’associazione “Meeting point”, formata da un gruppo di donne ugandesi di un centro per i malati Aids, che oggi è uno dei più grandi centri dedicati a malati e orfani».
Il compito di Ciantia sarà di cercare di individuare «come distribuire al meglio le risorse. Presumibilmente aiuteremo queste due realtà esistenti. E forse porteremo un terzo aiuto nel nord Uganda, nella città di Gulu, dove il trentino fratel , padre comboniano e figura conosciutissima, segue un centro per orfani e disabili».
Intorno alla famiglia Macchi, dopo la grande tragedia, «è cresciuto un gran numero di persone. In particolare si è creato un gruppo, le “Famiglie in cammino”, che offre aiuto ai genitori che abbiano perso un figlio. È una bella storia da raccontare, quanto siano diventati un riferimento per chi aveva un dolore da condividere».
L’evento tragico che li ha colpiti «li ha portati ad essere molto conosciuti e, negli anni, famiglie e persone che hanno vissuto perdite simili – la prematura scomparsa di un figlio per i motivi più diversi – hanno trovato in loro un appoggio, vicinanza e ascolto. La famiglia è diventata un punto di riferimenti per tantissime persone».
Un gruppo unito che opera e che condivide dolori, ma anche tante gioie, capace di guardare agli altri e di donare a chi è meno fortunato.