Sergio Marchionne dà il suo sostegno al nuovo governo Renzi perché «la Fiat è sempre filogovernativa», ma anche perché il Paese «ha bisogno di credibilità internazionale».
La riduzione del cuneo fiscale «è un atto dovuto anche per incoraggiare le imprese e creare nuovi posti di lavoro», mentre altri provvedimenti come il Job act hanno «poca influenza» sulle scelte del Lingotto, che la sua strada l’ha già intrapresa con gli accordi sindacali. «La stabilità politica è stata da noi sempre auspicata e continuiamo ad auspicarla», insiste il presidente John Elkann.
Al Salone dell’auto di Ginevra, il primo dopo l’acquisizione di Chrysler da parte di Fiat, i vertici del gruppo torinese non si sottraggono alle domande sul nuovo quadro politico italiano. È di scena il nuovo minisuv Jeep, «Renegade», che con la «Cinquecento X» consentirà di salvare gli oltre cinquemila posti di lavoro a Melfi, in Basilicata, e contribuirà a portare da ottocentomila a un milione il target 2014 del brand, ma anche le future mosse del Lingotto.
Innanzitutto il piano industriale che sarà presentato il 6 maggio a Detroit e «il sogno» della quotazione a Wall Street il primo ottobre «anche se c’è ancora tanto da fare». Niente di deciso, invece, sul prestito convertendo e su future operazioni finanziarie da varare per coprire il debito legato all’acquisizione dell’ultimo pezzo di Chrysler dal fondo Veba.
«Quello che avvertiamo è la volontà nel Paese di cambiare», taglia corto Marchionne quando un cronista gli chiede se il governo Renzi rappresenti la voglia di cambiamento. Nessun incontro al momento è previsto con il nuovo esecutivo, chiarisce l’amministratore delegato che ci tiene anche a precisare di non avere «mai lasciato l’Italia». «Non voglio minimizzare quello che il premier Matteo Renzi sta facendo, anzi bisogna appoggiarlo», spiega poi il manager italoamericano, che ribadisce: «Noi non abbiamo mai espresso opinioni personali o dell’azienda sul governo, rispettiamo le scelte fatte da altri, cerchiamo di appoggiare il sistema in termini di stabilità e creando opportunità per l’economia italiana. Appoggeremo qualunque governo, e quindi faremo di tutto per sostenere anche questo».
Nessun aiuto da chiedere a differenza di quanto fatto in Canada, dove «è imminente» l’accordo per uno scambio tra sussidi e investimenti, atteso per le prossime ventiquattro-quarantotto ore: «Mai chiesto una lira al governo italiano e non pensiamo di farlo perché nel Paese non ci sono le condizioni per sostenere una simile richiesta», afferma infine Sergio Marchionne. «Colpa della mancanza di soldi?», gli viene chiesto: «È il problema principale», ammette.
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