«Marco Pantani da piccolo lavava la bici nella vasca»

Novantadue minuti di Pantani in un documentario-film che ripercorre la vita, le imprese, le cadute e le mille rinascite di una fenice su due ruote.

Il regista inglese James Erskine rivive lo scalatore in un docu-film in due atti (“The Accidental Death of a Cyclist”), nelle sale italiane solo tre giorni – ieri, oggi e domani – distribuito da The Space Cinema e GA&A Productions.

Il ricordo del romagnolo scorre attraverso le voci della famiglia e di amici come Marco Velo, Vittorio Savini, ma anche di campioni del passato e del presente come Greg Lemond, sir Bradley Wiggins, Evgeni Berzin, Petr Ugrumov e persino Maradona.

È il ritratto di un artista dei pedali, che prende forma grazie agli emozionanti estratti di telecronache dei suoi scatti, dal Mortirolo a Courchevel. Voci spagnole, francesi e inglesi; phénomène, unbelievable, telecronisti stupefatti davanti al gracile italiano con pochi capelli che inizia staccando Indurain e termina lasciando Armstrong sui pedali.

Ma c’è anche lo straziante ricordo del declino silenzioso, della fine di un campione prima osannato e poi messo da parte, bollato come drogato. C’è la ferita più grande per Marco, il suo mondo che gli volta le spalle, raccontato anche attraverso la tristezza, la gioia e la confusione di mamma Tonina. Un campione triste che ama a dismisura la sua bicicletta, fin da bambino, tanto da lavarla nella vasca da bagno, oltre a smontarla e rimontarla per cercare la leggerezza totale, per non lasciare nulla al caso. Il regista, più che un film o un documentario, propone un tributo alla memoria, passando attraverso l’ultima intervista al Pirata di Sergio Zavoli, in cui Marco esprime tutto il suo disagio verso quello che non è più il suo ciclismo, quella bicicletta che ormai gli evoca solo pensieri negativi.

Il regista ammette di aver iniziato a lavorare al docu-film poco dopo la confessione di Lance Armstrong, l’ultima pietra dello scandalo del ciclismo moderno.

Le immagini passano silenziose, montagne e strade deserte, il rumore meccanico di una bicicletta che si arrampica o che si tuffa in discesa, prima del contrasto con l’esplosione di gioia che accompagnava il passaggio del Pirata ogni qualvolta la strada si impennava.

Le parole spesso lasciano voce alle immagini, su quelle montagne laddove Marco si sentiva a casa, pedalava forte in salita per alleviare l’agonia. Poi il dolore, la caduta alla Milano-Torino, Madonna di Campiglio, l’Hotel Touring, la sensazione di non potersi rialzare più. E il declino, lento e doloroso, di un campione sbranato dal polverone mediatico e ossessionato dal complotto, che già temeva ancor prima di passare professionista alla Carrera.

Entrano nelle budella le parole di papà Paolo e di Vittorio Savini, fondatore del fan club Magico Pantani che svela una telefonata di minacce del ’99, in cui gli assicurarono che quel Giro il Pirata non lo avrebbe concluso, non glielo avrebbero permesso. E così fu.

Una controfigura nel film impersonifica i dolori del giovane Pirata, nei suoi momenti più bui, cercando di ricostruire la solitudine di Marco. La realtà è che l’opera di Erskine non regala particolari novità allo spettatore pantaniano, ma permette di rivivere le imprese del Pirata, che sul grande schermo appaiono ancora più incredibili.

Finisce tra gli applausi in una sala semivuota a Gallarate, dove è andato in proiezione solo ieri. Continua la programmazione al The Space di Cerro con 3 spettacoli oggi alle 17.15, alle 19.30 e alle 21.45, e due domani, alle 19.30 e alle 21.45.

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