ROMA – Un uomo delle istituzioni e un politico di parte, “artista” capace di coniugare queste due tensioni mantenendo forte il senso della visione politica. Così il Viminale ha ricordato Roberto Maroni. Dopo i funerali di Stato e il ricordo della ‘sua’ Lega a Varese, trascorso un anno dalla sua scomparsa, il ministero che ha guidato due volte ha voluto rendergli omaggio. E si è mostrato ancora vivo il ricordo dei due mandati del leghista come ministro dell’Interno, per breve tempo dal 1994 al ’95 con il Berlusconi I (che Umberto Bossi fece cadere malgrado la sua contrarietà), e dal 2008 al 2011, con l’ultimo governo del Cavaliere. Il ricordo è stato affidato ai ministri Matteo Salvini e Matteo Piantedosi, e ai sottosegretari Alfredo Mantovano e Nicola Molteni.
In platea, con la moglie di Maroni, Emi Macchi, e il figlio Filippo, il capo della polizia Vittorio Pisani, il comandante generale della Guardia di finanza, Andrea De Gennaro, e il capo di stato maggiore dell’arma dei Carabinieri, Mario Cinque. Molto partecipato e commosso il ricordo dei due leghisti, Salvini e Molteni, entrambi ex “maroniani”, in un certo senso allievi di “Bobo”. Il vice premier si è commosso in chiusura del suo intervento. Ma personale è anche il ricordo di chi militava in altri partiti, come Mantovano, che negli anni di Maroni al Viminale fu sottosegretario all’Interno.
“Posso dire di aver imparato molto, qui, al Viminale. E il periodo di apprendistato più proficuo fu quando ministro dell’Interno è stato Roberto Maroni”, ha detto il sottosegretario. “In quel momento la Lega era Lega Nord ed è stato sorprendente cogliere come una delle sue prime linee di impegno fu contrasto alla criminalità al Sud”. Mantovano ha poi citato il “metodo Maroni” come “gioco di squadra” di “condivisione delle informazioni” in cui “non c’erano primedonne”, fondamentale, a suo giudizio “per chi opera per la sicurezza dei cittadini e soprattutto contro il terrorismo”.
Oltre all’idea di rafforzare la lotta ai patrimoni dei mafiosi, sulla scia di quanto tracciato da Giovanni Falcone. “Nonostante siano passati dieci anni” da quando guidò per l’ultima volta il Viminale, ha sostenuto, “il modello Maroni non soltanto non è superato ma è ancora valido”.
“Ci tengo a dire che fui nominato prefetto da lui. E per lui curai le relazioni parlamentari”, ha esordito il ministro Piantedosi. “Maroni consolidò la responsabilità dei sindaci sulla sicurezza urbana. E si distinse per lo sforzo di conciliazione tra il ruolo istituzionale e la fedeltà idee delle origini. Inaugurò la stagione dei ‘pacchetti sicurezza’. Fu un grande innovatore, una persona capace di avere visione artistica, non solo nel campo musicale, le tracce che ha segnato sono ancora vive noi le percorriamo”.
“E’ stato difficile fare il ministro dell’Interno dopo Maroni. Entrare al Viminale dopo il migliore”, ha ammesso, dal canto suo Salvini.
“Roberto è stato l’esempio di come un uomo di parte possa essere uno dei migliori servitori delle istituzioni. Se sono qua io oggi è anche soprattutto grazie a lui. In Lega quando c’era una mission impossibile si contava sull’uomo più determinato è determinante”, ha ricordato Salvini. “La Lega ha avuto tre segretari e il segretario piu’ determinante nella fase più difficile è stato lui. Ricordo quando mi disse: ho deciso che il prossimo segretario della Lega sei tu. Cerco quotidianamente di meritare una piccola parte di questa fiducia”. “Quello che gli mancava era il tempo sottratto alla famiglia – ha ricordato commosso -. Spesso ne parlavano. Ne varrà la pena? Lui diceva sempre sì. Penso che sia stato orgoglioso di quello che ha fatto e quindi lo ricordo con grande affetto”.
Politico e istituzionale l’intervento di Molteni, che ha esordito citando la corrente che Maroni fondò a fine 2012 – “i barbari sognanti” – per reagire al tentativo di censura avviato dal cerchio magico ‘bossiano’ e avviare il complicato processo di successione ai vertici del partito che comunque salvò il movimento dopo lo scandalo sulle irregolarità nei rimborsi elettorali che investì il senatur.
“‘Un barbaro sognante’ così Roberto Maroni amava definirsi. Una citazione, la sua, colta leggendo i testi dello scrittore triestino irredentista Scipio Slataper”, ha ricordato Molteni. “Con Maroni il contrasto alle mafie – al plurale – ha vissuto una stagione di grandi risvegli e di input legislativi e operativi. E’ stato un indiscutibile pilastro nel contrasto alla criminalità organizzata, plasmando un modello di lotta alla mafia che ora è un patrimonio condiviso – ha ricordato -. Il piano straordinario contro le mafie, il codice antimafia, l’istituzione dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati sono solo alcuni degli esempi virtuosi da lui voluti e istituiti, di una lotta alla criminalità organizza. Quel ‘modello Maroni’ è ancora oggi un punto di rifermento prezioso e utile a disposizione delle istituzioni”.
“E’ stato certamente anche uomo di parte. Orgogliosamente di parte. Dal Consiglio comunale di Varese, e poi da parlamentare e capogruppo leghista alla Camera è stato un punto di riferimento del mio partito, la Lega. Per diventarne segretario, in una stagione difficile. Accettando la sfida di una transizione complicata e salvando la storia di un movimento, La Lega, che segna ormai da 40 anni il percorso democratico della politica nazionale – ha ricordato -. Sono certo che a Roberto Maroni sarà assegnato un posto privilegiato nel Pantheon dei grandi servitori dello Stato. E sono certo del suo imprescindibile lascito politico e istituzionale testimoniato dalla sua lealtà e dal suo coraggio. Quel coraggio che contraddistingue solo chi sa restare un po’ barbaro e un po’ sognante”,