LUINO «Rivedo di continuo quella scena. Mi sembra ancora di sentire il dolore dei pugni e dei calci al volto. E il sapore del sangue in bocca. Ogni notte». È un incubo che si ripete. Che toglie il respiro e non fa dormire. «Riesco a chiudere gli occhi solo due ore di fila, quando va bene». Sono passati poco più di 10 giorni dal massacro. Ma per Achraf El Azhar, giovane luinese di 22 anni, italiano di origini marocchine, sembra che il tempo si sia fermato alla notte del 12 novembre. Quando verso le 3 di quel sabato sera ha rischiato la vita in seguito ad un’aggressione di alcuni sconosciuti.
«Pensavo proprio di morire. In un modo incredibilmente assurdo. A calci e pugni». Per questo è impossibile dimenticare. Ci sono le ferite, la prognosi di 90 giorni, le placche delle operazioni chirurgiche allo zigomo e alla mascella, gli occhi pesti con la vista che è calata proprio a causa delle lesioni. C’è la paura. «Ma c’è anche la voglia di giustizia, che questo non accada più a nessuno e che le responsabilità siano accertate a tutti i livelli».
Perché la brutale aggressione avvenuta praticamente sull’ingresso delle discoteca “Just In” di Germignaga, poi chiusa 30 giorni per ordine della Questura, è qualcosa che toglie il fiato. Il giovane era uscito con amici per un giro nei bar di Luino, ha poi deciso di concludere la serata in discoteca. Vicino a casa. «Sarebbe potuto capitare a chiunque – spiega -. Quattro ragazzi stavano uscendo mentre io aspettavo di entrare. Senza motivo uno mi ha colpito con un pugno al volto.
Poi mi hanno circondato: altri pugni, calci. Per due volte sono stato colpito, senza sapere da parte di chi, con un teaser al fianco e alla schiena». Con i segni della corrente stordente visibili nelle foto scattate in ospedale. «Sono finito – continua Achraf – a terra. Con il sangue che mi sgorgava dalla bocca. Facevo fatica a respirare e quelli continuavano. Con i calci alla testa. Credevo sarei morto». «Chiedo che sia fatta giustizia – dice -. Chiunque abbia responsabilità paghi. E che non accada mai più. A nessuno».
b.melazzini
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