«Mattarella lontano dalla gente» «No, è il nostro presidente»

Andrea Confalonieri e Max Lodi commentano l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica: le opinioni sono opposte

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Hanno scelto il loro presidente. Quello più giusto. Per loro. Quello che se lo merita: ma non dovremmo essere noi (e voi) a meritarcelo? Quello che unisce il Pd e spacca Forza Italia: ma non dovrebbe, semplicemente e primariamente, unire i cittadini?
Non parla mai, è retto, è integro, è serio e forse un po’ etereo: il minimo indispensabile, ma ce la fanno passare per una conquista epocale.
Il traguardo dovrebbe essere un altro,

ragionando con il cuore di chi sta fuori da quel Palazzo: sentire anche un po’ nostro e un po’ vostro Mattarella. Invece è solo loro, appunto, e infatti lo applaudono a perdifiato. Noi, sinceramente, non ci riusciamo e non perché abbiamo da rimproverargli alcunché. Umilmente facciamo notare che in lui non vediamo nulla di speciale, di nuovo, di giovane (alludiamo all’età di appartenenza al mondo reale, quello che sta fuori e sotto, non sopra al Colle) o di rivoluzionario.
Non è detto che la scelta della gente debba per forza averla vinta sulle scelte della politica, o che il sentimento del popolo sia obbligato ad allungare il suo zampino nell’elezione del presidente della Repubblica, ma di fronte a 665 rappresentanti di qualcun altro che esultano per la “loro” scelta saggia e giusta, ci chiediamo: è giusta e saggia per loro, ma per noi?
È giusto e saggio che un presidente di tutti nasca da una lontana corrente della Democrazia Cristiana invece che da una voce più vicina e potente come quella della strada e del popolo? Una voce che chiedeva di essere ascoltata, per una volta su un milione, anzi su 665. Una voce che si aspettava coraggio, anima, futuro e gioventù visto che si può essere giovani (e saggi, oltre che presidenti) anche a 50 anni, senza spingersi per forza a 73.
Non è detto che un presidente debba per forza essere sobrio, grigio, probo come certamente lo sarà Mattarella, accompagnato sul Colle dalla stima e benevolenza di tutti, e dal dono di essersi messo in disparte dalla politica un quindicennio fa. Accompagnato da tutto e tutti, ma non dai cittadini.
Un presidente può anche essere scelto nel mondo di noi umani e peccatori, può anche rispecchiare i nostri desideri, può essere un imprenditore, uno scienziato, un uomo di cultura o un giornalista, può rompere gli schemi e non riunirli, può essere finalmente donna o magari no. Un presidente, per una volta, poteva rappresentare il meglio che c’è. E visto che questo meglio, ne converrete tutti quanti, per il momento non si trova in politica, perché continuare a pescare nel solito recinto, vantandosene pure? Perché non scegliere fuori, per una volta, portando sul Colle anche tutti noi?

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L’impressione, e anzi la certezza, è che al Quirinale trovi casa un saggio. Con una storia politica di parte e che però ha già dimostrato in ruoli istituzionali di rispettare le parti. Sarà così anche stavolta. La vicenda personale di Sergio Mattarella parla chiaro e non concede lati oscuri: democristiano di sinistra, interprete dei valori del cattolicesimo applicati alla laicità dell’impegno pubblico, disposto a rinunziare a qualunque carica pur di difendere le sue idee, infine ligio guardiano del dettato costituzionale.
Una personalità austera che ha fatto di rigore, severità, fermezza i principi ai quali ispirarsi, pagandone il prezzo. Virtù che a occhi strabici appaiono vizi: un tipo noioso, grigio, passatista. Con un inspiegabile puntiglio a proposito d’equilibrio: voler sempre trovare il punto d’incontro tra gli opposti. Fraintendimento curioso, dato che la capacità di mediazione è il requisito fondamentale per assolvere incarichi a tutela di tutti. E chi non la possiede, divide anziché unire, l’esatto contrario di cui oggi ha bisogno l’Italia.
Mattarella ne è stato fedele servitore. Non è una parola eccessiva, una laudatio sopra le righe, un fumo d’incenso. È il riconoscimento a una carriera, la cui cifra evidente sembra il galantomismo. Un modo d’essere, ovvero uno stile di vita, certo desueto, e tuttavia esemplare. Non perché ve ne sono pochi, bisogna concludere che i galantuomini non appartengono alla contemporaneità. Vi appartengono, eccome. Il nuovo presidente della Repubblica è uno di loro.
La sua figura suggerisce a ciascun italiano, al quale egli subito dopo l’elezione s’è rivolto con parole di umile realismo, l’importanza di seguire la regola della misura responsabile, da recuperare in ogni comportamento.
Diceva Confucio, l’antico sapiente cinese, che chi si modera raramente si perde. Il messaggio che arriva dal nuovo inquilino del Colle è esattamente questo, e se ne avvertiva l’opportunità in un frangente epocale segnato dal prevalere delle tante derive senza limite.
È dunque confortante cogliere nel successore di Napolitano una lunga fedeltà alla temperanza, dote rivoluzionaria – e si potrebbe dire rottamatrice – al tempo del conformismo della sregolatezza, in cui suona a molti orecchi come una bestemmia affermare che la perfetta ragione fugge dagli estremi. Ciò che ha invece rappresentato per decenni la bussola della Dc, pur prestandosi a interpretazioni talvolta improntate a disinvolte convenienze di mercanteggiamento anziché a elevata nobiltà di spirito.
Renzi ha stravinto la battaglia con alleati e avversari. Ricevuto da Berlusconi l’aiuto indispensabile a confezionare legge elettorale e riforma del Senato, non gli ha concesso d’andare oltre il patto del Nazareno che soltanto quei due punti prevedeva. È così riuscito a compattare il Pd, convincendo poi l’Ncd-Udc a secondarlo, pur al costo di qualche addio. Forza Italia ha rifiutato di partecipare a una scelta che il futuro dimostrerà di non risultarle ostile, e i grillini ribadito l’assurda coerenza a chiamarsi fuori dalle decisioni che contano. Idem sentire sul versante della Lega, non disposta a infrangere con un transitorio sì la strategia del no-e-no.
Peccato: Mattarella occuperà il campo da arbitro competente, esperto, imparziale e non da giocatore falloso. La Prima Repubblica, pur avendo mostrato il peggio, ha saputo anche proporre un meglio ignoto alla Seconda, e ora lo mette al servizio del Paese che torna alla normalità, con un notaio di prestigio pronto a chiudere la stagione dei supplenti d’un potere esecutivo deficitario.