Meglio dell’82: resteremo in serie B

Il commento di Andrea Confalonieri dopo Lazio - Varese

Se quel coro impressionante – «Alè, alè, alè Varese alè» – che rimbomba nell’Olimpico a quattro minuti dalla fine verrà seguito da tutti, «restereeemo-restereeemo-restereeemo-in-serie-B» come hanno aggiunto i 400 tifosi biancorossi (300 in curva, 100 in tribuna). La prova di forza del pubblico varesino, applaudito anche dai laziali, è stata struggente, maestosa, indimenticabile. Non ricordiamo di avere mai assistito a una cosa simile. Non all’Olimpico di Torino, né a Marassi: là si andava anche per divertirsi o per sognare,

qui solo per soffrire e per “perdere vincendo”.
Le 400 persone che si sono spostate un martedì pomeriggio con ogni mezzo a Roma, e che hanno tifato come il pubblico di una grande squadra (anzi, no: come nessun altro pubblico, il Varese è unico), rappresentano un atto di fede di massa che la società e la squadra non potranno non ascoltare nei prossimi momenti di sofferenza. Non potranno non ricordarsi, quando la fine sembrerà avvicinarsi, che alle spalle del Varese c’è qualcosa di più, di meglio, di grande, di indistruttibile che lo salverà: c’è un pubblico che non può retrocedere, né ora né mai. Pronto a un atto d’amore mai visto. Guai a chi non seguirà quell’urlo: resteremo in serie B. Questa Lazio-Varese non regala l’illusione della serie A ma il realismo della serie B. Non si passa dall’estasi al dolore, ma all’accettazione del dolore. 32 anni fa Tiziano Masini, a fine partita, gettò una sedia contro un albero. Ieri è uscito dall’Olimpico cantando «resteremo in serie B», nell’accettazione del destino: la salvezza vale centomila promozioni.
Tre a zero ma non è il canto del cigno biancorosso: è un urlo di speranza. La “tragedia” di 32 anni fa non servì per capire che la B, per Varese e per il Varese, era un bene da difendere e non un trampolino verso un cielo che per noi è comunque capovolto. Non scattò l’autocoscienza di massa racchiusa nel coro finale di ieri: la capacità di lottare fino all’ultimo secondo dell’ultima partita. La paura di cadere e scomparire per sempre nell’82 non esisteva, adesso sì e ci rende più “ricchi”, disperati, apprensivi, innamorati, uniti.
La gente del Varese meriterebbe di giocarsi la serie A ma è arrivata fin qui per affermare un’altra serie A: il diritto a vivere. L’essenza, la sostanza, la competenza, l’attaccamento, l’amore di questa gente, semplice e genuino, meritano forse qualcosa in meno di un Carpi o di un Sassuolo, che nemmeno hanno né mai avranno la nostra storia? Questo è il risultato che non emerge dal tabellino di ieri ma che sale dalle viscere dell’Olimpico all’eternità.
Il Varese è un bucaneve che magari muore a primavera ma rinasce ogni inverno, quando tutti gli altri appassiscono. Non ha nulla da invidiare alla Lazio o a chicchessia: «Siamo l’unica squadra al mondo» dice Tiziano Masini, e ora non è più il solo a farlo. Ce ne sono almeno altri 399.
Conta il viaggio compiuto e non la meta raggiunta: ci abbiamo messo 32 anni per arrivare a Roma ma ne è valsa la pena, perché è servito a capire la differenza tra noi e gli altri, nel bene ma soprattutto nel male sofferto.

Nb: a noi il Varese ieri è sembrato pari alla Lazio tranne che nella capacità di concretizzare le occasioni. È mancato il gol ma non tutto il resto, quel “resto” che nella vita conta di più.