Perugia, 7 feb. (Apcom) – Meredith Kercher, una ragazza normale.
E’ questo il quadro che è emerso nella terza giornata del
processo sulla morte della ragazza inglese, per il quale Amanda
Knox e Raffaele Sollecito sono sul banco degli imputati. Filomena
Romanelli, testimone dell’accusa e coinquilina di Amanda e Metz,
ne fa il ritratto di una ragazza tranquilla, che non portava
uomini a casa la notte, che non voleva legami perchè voleva
studiare. Punto e basta. Al massimo c’era qualche discussione sui
turni di pulizia di casa. Ma si sa, a vent’anni i buoni propositi
non sono facili da portare avanti: Metz si fidanzò con un ragazzo
marchigiano e di tanto in tanto non disdegnava qualche festa dove
alcool e droga non mancavano.
La Romanelli parla al Pm Mignini anche del rapporto tra Amanda e
Meredith: “Avevano interessi comuni quando erano da poco arrivate
a Perugia. poi però li hanno coltivati in maniera individuale”.
Nessuna lite, nessuna scenata tra le due. Ma la testimonianza di
Romanelli diventa fondamentale quando il Pm le mostra la
fotografia del coltello indicato come arma del delitto: “Questo
oggetto fa parte delle posate della casa di via della Pergola?”.
La ragazza ha risposto con un netto no. Non aveva mai visto quel
coltello che è stato sequestrato nell’abitazione di Sollecito.
Il Pm Mignini, per avvalorare la tesi dell’accusa, chiede ancora
al testimone se fosse a conoscenza se Meredith avesse mai
frequentato, per una cena o un pranzo, la casa di Sollecito. “Da
quello che so no”: ha detto Romanelli. Quindi nessuna
contaminazione casuale dell’arma. La Romanelli spiega che il 2
novembre del 2007 fu avvertita da Amanda in una telefonata
effettuata in lingua straniera. “Mi disse che qualcosa non andava
a casa. E che non sapeva che fine avesse fatto Metz”. Poi un
‘filo di giallo’ tra i due testimoni presenti prima della
scoperta del cadavere e un dirigente della Polizia. Quest’ultimo
dice di non essere entrato nella stanza. Gli altri due sono
convinti del contrario.
Cep
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