D’altronde lo dice anche lui: «Non sono uno che parla molto. Nemmeno in campo posso essere definito un leader vocale: l’esempio cerco di darlo con l’atteggiamento…».
L’espressività e l’eloquio non sono le caratteristiche fondamentali di Stanley Onyekachukwu Okoye, 26enne figlio della Nigeria anche se nato a Raleigh, Usa, Carolina del Nord. Chiamato – forse più di altri compagni – a dimostrare la bontà della scommessa estiva fatta dalla società: primo acquisto, proveniente dall’A2, destinato ad essere titolare e pedina fondamentale della nuova Openjobmetis dopo aver lasciato impressa nella memoria dei tifosi varesini l’immagine di acerbo rincalzo.
Il brutto anatroccolo è diventato cigno? Servirà ascoltare il campo, niente altro. Per il momento – mischiate insieme a quel pizzico di timidezza e a uno sguardo che talvolta sembra perdersi – ci sono idee chiare su passato, presente e futuro. Bastano e avanzano: «Le stagioni trascorse nel secondo campionato, tra Matera, Trapani e Udine, mi hanno migliorato – dice convinto Stan, nel corso della sua presentazione ufficiale – soprattutto nel tiro da fuori e nella capacità di leggere le situazioni offensive. Ciò che ho imparato, poi, ho cercato anche di metterlo alla prova allenandomi da solo in estate, a casa mia: ora, a differenza del passato, sento il bisogno di farlo».
Da Varese a Varese, da Pozzecco, a Caja, di nuovo all’Artiglio da Pavia, motivo nemmeno celato per un sì alla causa biancorossa arrivato subito e senza condizioni: «Rientrato negli Stati Uniti dopo la stagione con Udine, ho ricevuto la chiamata del mio agente: «Coldebella e Caja ti vogliono parlare…». Non ci ho messo molto ad accettare la loro corte: due anni fa con Caja mi sono trovato benissimo, so che è uno che pretende molto e ritengo possa aiutarmi nel ritorno in Serie A. Non da ultimo conoscevo già la città e i tifosi: anche questo ha contato, così come la presenza di Matteo Jemoli, coach preparatissimo che mi ha seguito anche a Trapani».
Che Okoye possa essere uno dei pretoriani dell’allenatore biancorosso lo si capisce da come ripete le lezioni di filosofia “cajana” ricevute nelle prime tre settimane di preparazione: «Ci chiede tanto, ma tutti sappiamo che è in grado di farci migliorare, di aggiungere conoscenze al nostro bagaglio tecnico. Già in questo precampionato abbiamo imparato l’importanza dell’ascolto, soprattutto nella preparazione delle partite: tre amichevoli, tre squadre diverse, tre modi diversi di affrontare il match. Se non smarriremo questa attenzione, sono sicuro che ci faremo sempre trovare pronti».
Anche sulla posizione in campo, Stanley – che con l’acquisto di Hollis si è “allontanato” da canestro rispetto alle previsioni di inizio mercato – non ha nuvole nella testa: «Da ala piccola rendo meglio: penso di poter avere un vantaggio fisico sui miei pari ruolo e di poter anche sfruttare meglio il mio tiro dalla lunga».
Una battuta sull’Italia al quarto anno di frequentazione («a parte il cibo, che qui è di qualità superiore a tutto il resto del mondo, del vostro Paese mi affascinano i ritmi più blandi rispetto agli Usa»), una sui nuovi compagni di squadra («mi piacciono tanto: mi sembra che siamo già tutti sulla stessa lunghezza d’onda, consapevoli che questo è un momento importante della nostra carriera»), una sul calendario di Serie A che ha disegnato un inizio di fuoco per Varese: «Venezia, Milano e Cantù sono tre squadroni e due di queste partite saranno pure dei derby, da affrontare con il massimo dell’energia. Non voglio far programmi però: andiamo avanti domenica dopo domenica».
Un percorso a tappe in cui scorgere – si spera – i segni di un miracolo chiamato lavoro, capace, tra l’altro, anche di trasformare in cigni i brutti anatroccoli.