Prima Uboldo, ora Gazzada. In pochi giorni due sindaci del varesotto sono passati all’azione, invadendo un campo a loro precluso: la gestione dei migranti.
E i problemi tecnici in base ai quali, Lorenzo Guzzetti prima e Cristina Bertuletti ora, hanno deciso di sfrattare i rispettivi centri di accoglienza contano fino a un certo punto. Perché, in realtà, quella dei due amministratori è una rivendicazione del diritto, politico e civico, di decidere a casa propria. Il meccanismo dell’accoglienza, infatti, poggia su uno schema da cui gli amministratori locali sono tagliati fuori.
Le strutture che ospitano i migranti somigliano a sedi extraterritoriali, che insistono su Comuni ai quali, però, non sono tenuti a rispondere, se non marginalmente. Nelle città più grandi, dove gli ospiti sono più numerosi, la situazione è vissuta con crescente disagio.
Nei paesi più piccoli, invece, è più gestibile. Ma oggi alcuni fattori vanno sommandosi, complicando ulteriormente lo scenario. Primo, l’instabilità internazionale si aggrava, lasciando presagire nuove ondate. Secondo, la permanenza di ciascun ospite risulta ormai incalcolabile. Terzo, il diritto dei richiedenti asilo alla residenza spaventa chi teme l’impennata dei servizi da erogare. Quarto, l’interesse economico dei privati: un dato che stride palesemente con la miseria evocata dal fenomeno migratorio e col numero sempre più elevato di povertà nostrane.
Il messaggio di Uboldo e Gazzada, quindi, è forte e chiaro: i Comuni vogliono voce in capitolo e lo spirito collaborativo non va confuso con l’inerte sudditanza. Perché, nel rispetto della legge, i sindaci possono fare ancora la differenza.