MILANO – Stipendi contrari all’articolo 36 della Costituzione che non garantiscono “un’esistenza libera e dignitosa” con paghe inferiori alla “soglia di povertà”. Lo ha deciso la Corte di Appello di Milano – Sezione Lavoro nella causa fra l’azienda del trasporto pubblico milanese Atm, il suo sub appaltatore per i servizi di vigilanza e sicurezza Ivri Servizi Fiduciari e alcuni lavoratori che andranno risarciti per diverse migliaia di euro perché contestavano la ‘costituzionalità’ delle paghe ricevute negli anni sulla base del contratto collettivo nazionale dei servizi fiduciari firmato da alcuni sindacati: 950 euro al mese per 173 ore di lavoro per una paga oraria di 5,49 euro/ora lordi, su turni della durata di oltre 11 ore e completamente in notturna.
Con sentenza depositata il 25 gennaio 2023, i giudici d’Appello di Milano, Monica Vitali, Roberta Vignati e Andra Trentin hanno respinto il ricorso di Atm e Ivri confermando per intero la sentenza di primo grado emessa ad aprile 2021 dalla giudice del lavoro Maria Grazia Florio che ha dato ragione ai lavoratori di custodia e sorveglianza presso diverse sedi Atm, disponendo di aumentare lo stipendio mensile lordo a 1.218 euro.
Per i giudici milanesi infatti “il limite della povertà assoluta per una persona fra 18 e 59 anni residente in un’area metropolitana del nord Italia” nel 2018 (anno su cui si sono concentrate alcune delle contestazioni, NdR) è “quello corrispondente a una capacità di spesa (e quindi a una retribuzione netta) di 834,66 euro elevata a 1.600 euro mensili nel caso di moglie e due figli a carico in età compresa fra 4 e 10 anni”. “È quindi agevole osservare – proseguono i giudici nella sentenza confermata anche in secondo grado – che la retribuzione corrisposta ai ricorrenti, al netto degli oneri fiscali, si colloca all’evidenza al di sotto della soglia di povertà”.
Secondo il tribunale di Milano, che aveva già dato torto nel 2022 ad Atm e un’altra società subfornitrice, la GSA, in quel caso per una paga oraria da 4,4 euro lordi/ora, “è intuitivo” che certe paghe non rispettino “il principio di proporzionalità e, ancor di più, quello di sufficienza a condurre un’esistenza libera e dignitosa ed a far fronte alle esigenze di vita proprie e della famiglia della retribuzione stabiliti inderogabilmente dall’articolo 36 della Costituzione applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato”.