È morto all’età di 85 anni lo scrittore Abraham B. Yehoshua, da tempo malato. In recenti interviste diceva di attendere con estrema serenità la morte, vissuta come “un dono che facciamo ai nostri nipoti, lasciamo loro spazio“, anche se era preoccupato per il destino politico e sociale del mondo.
Nato a Gerusalemme nel 1936, dopo aver servito nell’esercito israeliano (era paracadutista) e aver studiato all’università di Gerusalemme, ha fatto diverse esperienze all’estero, tra Parigi e Oxford, per poi tornare a insegnare all’università di Haifa.
Negli anni, assieme ad altri scrittori come Amos Oz e David Grossman, si era fatto promotore di una soluzione pacifica del conflitto tra Israele e Palestina.
La sua idea era che Israele avrebbe dovuto concedere in modo unilaterale prima la residenza, poi la cittadinanza israeliana ai palestinesi dei Territori. «Non ci sarà mai una pace con trattati, firme, bandiere. Ci può essere convivenza. Basta con l’apartheid. Dobbiamo mescolarci». Era convinto che Israele avesse il problema opposto al resto del mondo: un eccesso di memoria. «Altrove ne avete poca. Noi ne abbiamo troppa. I palestinesi passano la vita a recriminare sulla la cacciata dalla loro terra. Sognano il ritorno. Custodiscono le chiavi della casa del bisnonno. Chiavi che non aprono più nessuna porta. Al posto della casa del bisnonno c’è un grattacielo o un negozio della Apple. Basta! Anche noi ebrei, però: è tutto un amarcord. Le guerre. I kibbutz. Le baracche in cui furono stipati i coloni. E poi la Shoah…».
Per tutta la vita aveva votato a sinistra, ma la sinistra gli appariva in crisi ovunque, perché aveva perso il contatto con il popolo: «È percepita come un’élite globale di artisti, scrittori, traduttori che si conoscono tra loro, si fidanzano, si invitano l’un l’altro a convegni dove esprimono giudizi sprezzanti sul resto dell’umanità. E un po’ è anche vero”.