A volte è un’immagine a far scattare una passione. Come se aspettassimo solo quella per capire quanto valore ha un’esperienza. Non è proprio come un innamoramento a prima vista, ma gli assomiglia molto. In settanta anni di vita la Vespa è entrata nell’immaginario di tante persone grazie anche al cinema.
Per me fu “Caro diario” di Nanni Moretti a stimolare la voglia di salire in sella. Era estate, Roma era deserta e così il regista poteva girare per le strade assolate e riscoprire la sua città.
/> «Il quartiere che mi piace più di tutti è la Garbatella – dice Moretti – E me ne vado in giro per i lotti popolari. Ma non mi piace vedere solo le case dall’esterno, ogni tanto mi piace vedere anche come sono fatte dentro. E allora suono a un citofono e faccio finta di fare un sopralluogo, che sto preparando un film…». Quaranta anni esatti prima di lui, erano stati Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze romane a incoronare la Vespa come lo strumento cult di un’epoca. La sua produzione era nata dalla Piaggio solo sette anni prima, nel 1946. Un nome che secondo alcune leggende nasce proprio dall’intuizione dell’imprenditore Piaggio, perché la bestiolina viaggiante «ha la vita stretta e il sedere largo», proprio come l’insetto volante, ed è ugualmente pungente, nel senso dell’iniezione di fantasia, di divertimento, di scatto e di scarto rispetto alla quotidianità grigia di quell’epoca. Il progetto, come raccontava Edmondo Berselli, «era stato affidato al migliore progettista della Piaggio, l’ingegner Corradino D’Ascanio, specialista di elicotteri, anzi inventore in esclusiva mondiale, seppure misconosciuto, del primo elicottero: ma anche realizzatore eclettico, instancabile, mai soddisfatto. D’Ascanio non amava le moto: troppo scomode, complicate nei comandi, troppo robustamente maschili. Si mise al lavoro “una domenica”, come avrebbe raccontato in seguito, e con un piccolissimo gruppo di collaboratori, disegnatori e meccanici, in tre mesi presentò a Piaggio il prototipo. Una femmina, in tutti i sensi. Veicolo con la carrozzeria autoportante, chiusa e leggera, scudo anteriore antipozzanghere in lamiera, il motore nascosto, una sorta di piccolissimo aereo trasportato sulla terra, dotato di ali immaginarie.
Oppure, meglio: trasportato sulle strade dell’Italia del primissimo dopoguerra, sulle sue strade bianche, a fare colore e novità. Esordio pubblico di quelle rotondità posteriori così lietamente allusive, anche se allora molto più dimesse, il 20 settembre ‘46 al Circolo del Golf di Roma.
L’ingegnere era fiero del suo lavoro e della Vespa.
«L’intuizione di un mezzo moderno che abbia la popolarità di una bicicletta, le prestazioni della motocicletta, l’eleganza e la comodità dell’automobile è ormai realizzata».
È grazie a questo che la Vespa ancora oggi si differenzia da tutte le altre due ruote.
Per me, dopo Nanni Moretti, fu Giorgio Bottinelli a scatenare la passione che mi avrebbe portato a fare tutto il giro delle coste italiane nel 2010. Anche lui giornalista, ha iniziato a viaggiare per gioco a quarant’anni e da allora questo divenne il suo principale lavoro scrivendo libri best seller per Feltrinelli.
La Vespa è uno dei simboli del nostro Paese. È sinonimo di creatività, design, capacità industriale, ma ancor prima è l’immagine della bellezza e delle libertà.