CASTELLANZA – Per chi lo conosceva superficialmente, Nikolin Gjetja era semplicemente un imprenditore edile albanese di trentacinque anni, noto per la sua capigliatura bionda e il suo carattere affabile. Tuttavia, dietro questa facciata rispettabile si celava il vero “Biondo“, un uomo al vertice di una vasta e complessa organizzazione criminale internazionale specializzata nell’importazione e distribuzione di tonnellate di droga leggera, come hashish e marijuana, provenienti dalla Spagna. Il giro d’affari era tale da coinvolgere complici e intermediari finanziari, tra cui hawaladar cinesi, che aiutavano a trasferire enormi somme di denaro all’estero.
La grande fuga del “Biondo”
A ottobre del 2023, la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Milano ha emesso quarantasei ordinanze di custodia cautelare e dodici fermi su ordine del giudice per le indagini preliminari Massimo Baraldo. Mentre l’operazione si svolgeva, Gjetja, soprannominato il “Biondo”, era già sparito, fuggendo da Castellanza e lasciando dietro di sé una rete intricata di attività illegali e complici, che ha portato a ottantatré indagati. Nonostante la massiccia operazione delle forze dell’ordine, tra i cinquantotto arrestati otto mesi fa, due persone, difese dall’avvocato Amedeo Rizza, lo stesso legale di Gjetja, sono state poste agli arresti domiciliari.
Traffico di droga a livello internazionale
L’organizzazione guidata da Gjetja aveva un carattere transnazionale, estendendosi dalla penisola iberica al Marocco. Il traffico di droga era orchestrato come una complessa catena di montaggio, con una fitta rete di collaboratori ognuno con un compito ben definito. Gli stupefacenti venivano trasportati tramite camion o imbarcazioni che trasportavano carne surgelata, sfruttando un ingegnoso sistema per nascondere la merce illegale. In particolare, un carrozziere del Saronnese, in cambio di 30.000 euro, aveva modificato il rimorchio di un’azienda logistica creando un doppiofondo invisibile capace di contenere fino a 300 chilogrammi di hashish. Questo mezzo è stato infine sequestrato a Vigevano lo scorso marzo.
Tonnellate di droga leggera
Secondo le indagini, tra il 2019 e il 2023, Gjetja e i suoi uomini avrebbero importato almeno trenta tonnellate di droga leggera. La marijuana e l’hashish venivano stoccate in diversi capannoni situati nel Basso Varesotto e nell’Altomilanese, identificati dagli investigatori a Parabiago, Inveruno, Cardano al Campo, Solbiate Arno e Garbagnate.
Orgoglio criminale
Le intercettazioni rivelano l’atteggiamento spavaldo e l’orgoglio con cui alcuni membri dell’organizzazione parlavano del loro status di narcotrafficanti. Uno dei soci di Gjetja, parlando liberamente in auto nonostante la presenza di microspie, dichiarava con fierezza: «Io non sono nessuno, io sono un narcotrafficante. Vendo droga leggera, non ho affari con la cocaina. Quando vogliono arrestarmi, mi faccio tutta la galera che vogliono farmi fare». Queste affermazioni, contenute negli atti giudiziari, mostrano l’arroganza e la sicurezza di uomini che credevano di essere al di sopra della legge.
L’errore fatale: la partita di sapone
Nonostante l’apparente invulnerabilità, l’organizzazione non era esente da errori. Un episodio significativo è stato l’acquisto in Spagna di una partita di 90 chilogrammi di hashish che si è rivelata essere semplicemente sapone. Questo errore ha causato una perdita di 240.000 euro, scatenando la furia del “Biondo”. In una conversazione intercettata con uno dei fratelli Pellegrino, Gjetja ha annunciato con tono minaccioso: «Sto andando a riprendermeli, sono armato».
Il futuro dell’inchiesta
Nei giorni scorsi, la procura antimafia ha concluso le indagini sull’incredibile traffico di stupefacenti orchestrato da Gjetja. Il processo si prospetta lungo e complesso, con ottantatré indagati che probabilmente compariranno davanti al giudice per l’udienza preliminare. Tuttavia, la latitanza di Gjetja, che continua a sfuggire alla giustizia, rappresenta una sfida significativa per le autorità italiane.
La lezione del “caso Gjetja”
Il caso di Nikolin Gjetja, alias il “Biondo”, è un esempio emblematico di come le apparenze possano ingannare. Sotto la maschera di un imprenditore rispettabile, si nascondeva un narcotrafficante astuto e spietato, che ha costruito un impero criminale capace di operare a livello internazionale. Questa vicenda mette in luce non solo la complessità delle reti criminali moderne, ma anche l’importanza di una vigilanza costante e di una cooperazione internazionale efficace per combattere il traffico di droga e altre forme di criminalità organizzata.
Mentre la giustizia cerca di recuperare il terreno perduto e di assicurare alla legge tutti i responsabili, la comunità internazionale deve riflettere su come prevenire e contrastare efficacemente fenomeni criminali di tale portata. La storia del “Biondo” è un monito di quanto sia fondamentale non abbassare mai la guardia nella lotta contro il crimine organizzato.