Gli occhi a volte riescono ad essere lo specchio di ciò che alberga un po’ più sotto, dentro quell’anima che rimane sempre chiusa nella scatola. Nel giorno del raduno della nostra Pallacanestro Varese, il PalaWhirlpool non è stato altro che un incrocio di sguardi: indagatori, appassionati, semplicemente contenti o emozionati che fossero, i nostri – quelli dei tifosi – ed i loro – quelli di squadra e staff – si sono finalmente incontrati dopo un’estate piena di attesa, di domande e di speranza, un’estate vissuta nel segno dell’astinenza che prostra ogni appassionato che si rispetti.
Chi scrive giura di aver visto gli occhi gelidi da baltico tutto di un pezzo qual è Kristjan Kangur sorridere felici, una primizia in attesa che ritornino glaciali a freddare gli avversari. Lo stesso estensore del pezzo assicura di aver letto una sorta di sollievo in quelli sprizzanti gioia di Kuba Diawara, quasi fosse tornato a respirare il profumo del focolare dopo la separazione di due anni or sono. C’erano quelli curiosi di Dawan Robinson, un toro a cui hanno messo le braghe da basket nonché il playmaker designato per far dimenticare una stagione di orrori made in Kee Kee Clark. In quelli di Craig Callahan ti sembrava di scorgere il cielo d’Irlanda, in quelli del toscano Andrea Casella la percezione di stare vivendo l’occasione che capita una volta sola nella vita.
In un pomeriggio che non ha avuto quasi bisogno di essere organizzato per piacere, è bastato lasciare la gente di Varese e la loro squadra liberi di abbracciarsi in mezzo al parquet per far defluire la passione. Quella che in realtà scorre fin dal parcheggio, introvabile anche per un semplice raduno nemmeno seguito da un allenamento: dove se non qui? Che squadra sarà lo potrà dire solo il campo. Le domande restano sospese: Robinson è l’uomo giusto per guidarci? Il fisico di Kangur terrà per tutta la stagione? Diawara è ancora quella gioiosa esplosione di muscoli ed atletismo che ricordavamo? Ogni risposta a suo tempo: in fondo non manca molto.
Con una postilla e qui si ritorna agli occhi di un’altra persona che ieri vagava – libero come solo lui sa essere – da una parte all’altra di questa festa di popolo. Gli occhi di Gianmarco Pozzecco sono uno spettacolo: ti prendono in giro anche quando dicono cose serissime e viceversa. Sono quelli che ritroveremo ogni domenica quando guarderemo verso la panchina e troveremo questo pusher di passione pura che ha fatto ammalare di palla a spicchi un’intera generazione di varesini.
A lui non chiediamo nulla, perché nulla si può promettere. Di una cosa, però, siamo sicuri: gli occhi del Poz saranno pesti dopo ogni sconfitta e luccicanti dopo ogni vittoria. Sappiamo che non si darà pace nel cercare di mettere nell’anima di quelli che sono dei professionisti la scintilla dell’amore che lui aveva quando vestiva il biancorosso. Dopo un anno all’insegna del grigiore dei sentimenti, ci accontenteremmo di questo. Come si accontenta un padre quando guarda i suoi figli.
Fabio Gandini
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