Se la musica è una cattedrale, ogni artista dovrebbe essere un architetto. E alle “architetture sonore e collezionismi d’arte” è dedicato anche l’ultimo appuntamento del ciclo “I concerti di Casa Pogliaghi” in programma domenica, alle 10.45, al Sacro Monte con Luca Trabucco al pianoforte e letture di Andrea Chiodi. Il museo può essere visitato, con biglietto a 5 euro, prima e dopo l’incontro; si consiglia la prenotazione su [email protected] oppure al 328/83.77.206.
Trabucco nasce a Salerno nel 1970, si diploma al Conservatorio “Nicolò Paganini” di Genova e si specializza all’Accademia di Pianoforte di Imola con Lazar Berman, Piero Rattalino, Alexander Lonquich e Riccardo Risaliti. Pianista di riferimento dell’Impressionismo francese Trabucco vive, nei confronti di Claude Debussy, una «corrispondenza estetica».
A dirlo è lui stesso: «Ero un ragazzino e da poco avevo cominciato a studiare il pianoforte: il mio maestro mi disse di provare a studiare la prima “Arabesque”
di Debussy, e da allora non ho più smesso. A tal punto che, da questa fascinazione, ha poi preso il via un’esplorazione di altre forme d’arte e di come queste erano state utilizzate nella Francia dei primi del Novecento».
Il concerto, dedicato al compositore nato nel 1862 a Saint-Germain-en-Laye, propone una selezione tanto delicata quanto esplosiva dal Primo e Secondo Libro dei “Préludes”. Preludi ispirati in parte a quelli di Fryderyc Chopin, a sua volta ispirato da quelli del “Clavicembalo ben temperato” di Johann Sebastian Bach. Si tratta però di musica che sfugge alla regolarità classica, per addentrarsi piuttosto nella complessità delle strutture: è per questo che all’interprete non solo è richiesta una tecnica pianistica pronta e dinamica, ma anche una capacità analitica che porti a prospettive d’ascolto del tutto nuove. Trabucco parte da qui.
Dalle critiche che lo hanno descritto “infinitamente coinvolgente e affascinante”, capace di “concepire ogni frase come una sfida alle leggi fisiche della percezione sonora”, dotato di “senso ludico, spirito critico, grande tecnica”. Insomma, con i suoi molteplici e pirotecnici attacchi al tasto, e le sue scelte nel fraseggio e nell’uso dei pedali, Trabucco si sente al sicuro quando deve affrontare quella «indeterminatezza» che proprio lui considera una fra le prime qualità nella musica di Debussy: «Intendiamoci: non voglio dire che la sua musica sia imprecisa o non chiara, ma che può essere letta in tanti e possibili modi, a patto che siano convincenti ed in linea con un’attenta lettura del testo».
Questo è quello che deve fare un pianista: «Attenersi a ciò che ha di fronte a lui, allo spartito, tanto più nella scrittura impressionista che permette molti tipi di fedeltà».
Dopo tutto, la rivoluzione non la si fa solo con i fucili. Anzi, secondo Luca gli impressionisti ci riuscirono con quella «molteplicità di sorgenti sonore» che ancora oggi sembrano indecifrabili: «Fino a Debussy il suono del pianoforte poteva essere piano, forte, fortissimo. Questa possibilità era stata esplorata anche prima, ma da Debussy in poi il suono è generato in differenti porzioni dello spazio: vicino, lontano, sopra, sotto. Addirittura, anche nel ricordo e nelle ombre». Sfumature, queste, non solo impressioniste.