Ci volle coraggio per pubblicare “Spoon River”. Il coraggio dei morti e di chi non ha più niente da perdere. 19 storie e 248 personaggi – questo il libro dato alle stampe nel 1916 dall’americano Edgar Lee Masters – dove persone del tutto normali rendono pubblici, con la sincerità e la leggerezza del distacco, le loro malefatte e i loro vizi.
È questa la filigrana che si scopre nel prossimo spettacolo di Red Carpet Teatro, stasera alle 21 nell’antica cantina di Villa Bossi a Bodio Lomnago: “Dietro ogni scemo c’è un villaggio e dietro ogni blasfemo c’è un giardino”. Ingresso a euro 10 (esenti i minori di quattordici anni) con prenotazione obbligatoria allo 0332.969059 oppure su [email protected].
Perché «è tanto comodo a tutti, uno scemo», diceva quel Fabrizio De André che all’antologia di “Spoon River” si ispirò per il suo “Non al denaro non all’amore né al cielo”. Ma il matto, che studia la Treccani a memoria, non è solo: un giudice, un blasfemo, un malato di cuore, un medico, un chimico, un ottico si misurano – nel pensiero di De André – sui campi dell’invidia e della scienza.
Bella prova, questa,
per i cinque di scena a Bodio: Sarah Collu, Serena Nardi (anche alla regia), Leonardo Lempi, Andrea Benvenuto e Vittorio Bizzi. Sipari musicali affidati a voce e tastiere del 19enne Alessandro Cerea e alle chitarre di Guido Zanzi.
Bella prova per chi crede alla definizione che Masters diede al suo capolavoro – «Qualcosa di meno della poesia e di più della prosa» – e per chi ama le simmetrie tra le umane passioni. Il giudice nano che fa della sua invidia una fonte di potere e vendetta, il chimico che crede nell’unione degli elementi ma non in quella tra uomo e donna, il medico illuso che vuole curare ma è costretto dal sistema a tradire se stesso. Insomma, ce n’è per tutti tranne che per il malato di cuore e il suonatore Jones: il primo, che potrebbe invidiare tutti per la loro spensieratezza, si salva con l’amore e il secondo, invece, facendo dell’arte una scelta di libertà e non un mestiere.
Come fa Serena Nardi quando mette l’accento «sulla linea chiara e pulita delle canzoni e delle poesie riaccostandole in modo semplice e sobrio. Con la voce che si fa teatro e il teatro che si sostanzia in una voce che crea magia».
Anche quando sotto i riflettori si pone quel blasfemo con tutto il suo «disincanto sulla menzogna dell’Eden», incalza la Nardi.
Così Master ha scritto e Fabrizio ha ri-scritto; Master ha aperto una voragine nel cuore degli uomini, e il cantautore genovese l’ha allargata sino a farci sprofondare tutti. Eppure nell’originalità del racconto e nella stravaganza che tutti ci vorremmo permettere (dire di noi e degli altri, confessando tutto all’aria senza più complessi), De André ci stupisce un’altra volta con un disco dove vizi e virtù si contendono. Nella speranza che in fondo alla nostra strada, però, ci sia sempre un malato di cuore o un suonatore di violino.
Il romanticismo, merce rara soprattutto di questi giorni, è ciò che resta di chi ha saputo accontentarsi senza chiedere troppo alla vita e agli altri: un bacio fatale per il malato e di Jones, invece, l’anarchia di chi «offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro non all’amore né al cielo».