Per noi, solo per noi. Vinciamo per il Varese, come abbiamo sempre fatto: il resto non esiste.
Nel nostro destino c’è sempre una partita, una sola grandissima partita (o due, al massimo tre) che ci fa uscire dal tombino per cominciare una nuova vita. E quel destino ha sempre scelto un uomo, facendolo uscire dal nulla, per essere recitato e scritto: quell’uomo è Stefano Bettinelli. Voi lo sapete, noi lo sappiamo: il Betti ci lascia in pace con noi stessi. Perché sappiamo che il Varese è in buone mani: non sappiamo se sono le migliori, ma sappiamo che sono quelle giuste. Lui siamo noi, noi siamo in lui: un varesino che vive per il Varese.
Ce la sentiamo di nuovo nostra, e vostra, quella squadra che stasera proverà ad abbattere Rosina e compagni. In panchina un Nessuno, sugli spalti cinquemila Nessuno, in campo undici Nessuno. Avevano persino bloccato le scommesse sul pareggio tra Lanciano e Cittadella (no betting), come se fosse già scritto. Come se non ci fosse partita. Né là, né qui. Come se nulla e nessuno possano evitare Varese-Novara, si salvi chi può. Noi invece diciamo: da mesi sta girando tutto al contrario, a noi e su tutti i campi. Non può che finire al contrario di quello che dicono e pensano tutti: Varese salvo. Batti il Siena e ti salvi, prima o dopo, nei playout.
Il vento è girato, ha mosso la traversa di Novara sul tiro di Lepiller, e quel vento nasce da dentro: spinge le parole del Betti, muove le gambe dei giocatori (Neto e Zecco, pure Corti che fuori campo da due settimane sta facendo il Sogliano), fa battere il cuore della gente.
Quel vento fa urlare ai bambinetti che si allenano in uno spicchio di campo vicino alla prima squadra: Va-re-se, Va-re-se. Quel vento fa uscire dal campo Neto dell’allenamento che decide una stagione, sotto braccio a Paolo Maccecchini, il papà buono biancorosso cresciuto in Eccellenza: sorridono, scherzano, e il Macce – quello che porta bene – dice come un padre al figlio: “Dai, Neto, dai”.
Quel vento lascia sul campo Luca Tremolada a raccogliere i palloni per infilarli da lontano, uno per uno come in una gara da tre punti del basket, nella cesta tenuta da Mario Belluzzo (rivedere Belluzzo davanti a quella panchina, solo questo, mette i brividi perché non ha mai chiesto di essere lì, ma ha sognato per tutta la vita di esserci: come noi e come voi), e finisce con Tremo che urla, all’ennesimo canestro: “Lebron, Lebron!”. Quel vento che, finalmente, fa gonfiare la rete Pavoletti che chiude così la serata prima degli esami, gridando da solo in mezzo al Franco Ossola: “Tutti a casa”. Tutti a casa, nemici del Varese. Tutti a casa, voi che gli avete fatto tanto male. Questo è il vento e il profumo di Masnago. Che, nelle notti di maggio, ha un sapore unico.
Quel vento arriva da lontano rinforzato da mesi, anzi anni, di prigionia, come se la parole-manifesto del Varese che trovate sulla foto in questa pagina, vicino a un bimbetto con la V rossa sul petto, fossero di nuovo animate e vive: “Il mondo è nelle mani di chi ha il coraggio di sognare. E di correre il rischio di vivere i propri sogni. Tu lo stai facendo e per questo sono orgogliosa di te”. E’ il messaggio di una madre al proprio figlio. Un figlio che era, è e sarà ancora l’unico padre del Varese.
Andrea Confalonieri
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