Non c’è delusione, giustamente, e tantomeno amarezza. Marco Pedoja, allenatore di Nicolò Martinenghi, ci tiene a mettere “i puntini sulle i”, a evitare che passi il pensiero errato che il mondiale del giovane varesino possa essere considerato un flop.
Non lo è, aggiungiamo noi, per diverse ragioni, che lasciamo però elencare allo stesso Pedoja: «A differenza di ciò che ho sentito e letto in giro in questi giorni, da persone che lo aspettavano in finale o addirittura a medaglia, voglio sottolineare che per me Nicolò è stato bravissimo in questo Mondiale. Perché nelle due sere precedenti all’esordio nei 100 rana è stato male ed è stato bravissimo a reagire a questa influenza che l’ha colpito, e anche a tutta la pressione mediatica che si era creata nei suoi confronti. Poi, se studiamo attentamente la gara, ha nuotato solo un decimo sopra il suo personale, quindi per le condizioni in cui stava ha fatto il massimo ed è la stessa cosa che ho detto a lui».
Quindi no, il concetto di delusione va abiurato fin dal principio: «A molti è sembrata una delusione ma osserviamo la situazione a 360 gradi: un ragazzo di 17 anni che arriva due volte nono ad un Mondiale, oltre ad essere un po’ sfigato, ha comunque ottenuto un bel risultato. Specialmente in una gara come la rana che è aumentata esponenzialmente di livello grazie ad Adam Peaty. Nicolò non poteva fare nulla di diverso, anzi con questi tempi alle Olimpiadi di Rio de Janeiro sarebbe entrato in finale, quindi nulla è da buttare».
Due considerazioni importanti da fare, due numeri da mettere sul tavolo: sui 100 ha nuotato in 59”33 in batteria, a un solo decimo dal suo personale, per entrare in finale avrebbe dovuto timbrare nuovamente il suo record personale (59”23). Sui 50 rana ha nuotato in 27”01, di quattro centesimi oltre il suo primato (26”97), a testimonianza di due gare nuotate comunque a livello molto alto, e molto vicino ai suoi livelli migliori: «La realtà – aggiunge Pedoja –
è che il suo personale l’avrebbe anche fatto se non fosse stato male prima. Da come stava al collegiale di Ostia, era tutto in linea per migliorarsi ulteriormente. Però ha avuto questo problema, si è svegliato la mattina della gara con le tonsille gonfie che faticava anche a parlare. Nelle notti precedenti aveva dormito poco. Era anche un po’ in difficoltà perché era il giorno del suo esordio mondiale, non era neanche sicuro di dirlo per evitare che si pensasse fosse un alibi. Lo ha detto poi, ma ha fatto finta non fosse accaduto nulla. Ha nuotato un decimo più del personale in condizioni pessime e, dopo la staffetta mista di mercoledì, è crollato a letto scaricando un po’ tutta la tensione».
Nonostante ciò, è sembrato che “Tete” catalizzasse ogni momento del Mondiale per imparare, per fare esperienza: «Sta vivendo benissimo l’esperienza del Mondiale, sta cercando di entrare in punta di piedi all’interno di un gruppo consolidato in cui ci sono individualità di 35 anni, e lui ne ha solo 17. Vuole apprendere tutte le cose positive, lo stesso Scozzoli gli ha dimostrato molto, battendo due volte il suo record sui 50 rana, da Fabio deve imparare l’esperienza nell’approcciare le gare. Ha solo da imparare e si sente ancora piccolo da questo punto di vista».
E da imparare, tanto, c’è anche da quel fenomeno di Federica Pellegrini: «Lei è da esempio per tutta la squadra. Di lei si parla molto, chi bene e chi male, ma quando arriva lì sui blocchi di partenza è seria, puntuale, precisa, professionale. Poi come mercoledì, entra in gara e vince una medaglia d’oro a 29 anni che fa venire la pelle d’oca a tutti quanti. Tanto di cappello, in vasca è stata capace di spazzare via ogni pregiudizio che ogni volta nasce nei suoi confronti. Questa è una campionessa fatta e finita perché si allena e si comporta sempre come tale».