«Nigeriano nell’anima e per i miei. Caja mi ha detto: se torno, ti porto»

Stan Okoye si racconta: la pallacanestro, i sogni per il futuro, la famiglia, il tempo libero e... Trump

Dalla A di A2 (dove il nostro si è fatto le ossa per tornare sul luogo del delitto) alla V di… ovviamente Varese: (quasi) tutto l’alfabeto di Stanley Okoye da Raleigh, North Carolina. Ovvero la pietra fondante della Openjobmetis 2017/2018, il primo a essere chiamato per far parte del nuovo roster, una delle scommesse più ardite giocate dal trio Caja-Coldebella-Bulgheroni.

Mentre il campo ha già parzialmente dato il suo responso (ma attende milioni di conferme ancora) questo ragazzo dall’aria buona e dai modi gentili si racconta a tutto tondo: si passa dalla C di Caja alla R di rimbalzi (e di record), dalla M di mamma alla T di Trump (che ha trovato un altro sportivo americano che – eufemismo – non lo ama). Si passa, insomma, dal giocatore all’uomo che sempre si nasconde dietro a un tiro in sospensione.

Direi di sì, sono contento della nostra posizione in classifica, stiamo disputando un buon campionato. Ci sono un paio di partite che abbiamo perso e che avremmo potuto e dovuto vincere, come quella contro Milano e quella contro Avellino. In entrambi i casi abbiamo giocato molto bene e potevamo portare a casa i due punti. Però come squadra siamo in forma ed abbiamo mostrato una crescita evidente rispetto al precampionato.

Parlavo recentemente con il coach delle mie percentuali: entrambi pensiamo che ci sia ancora un ampio margine di miglioramento. Posso fare molto meglio rispetto a ciò che sto facendo adesso, sia da due che da tre. E poi a rimbalzo, dove comunque i numeri sono buoni.


Credo di sì, penso che la pausa possa essere proficua: dopo le ultime gare perse abbiamo bisogno di un break, anche per avere tempo in palestra da dedicare a ulteriori miglioramenti. Sarà un’opportunità per tirare il fiato e lavorare, quindi.

Sì, è dura: lo ammetto. Ma tutti noi prima di arrivare qui sapevamo a cosa andavamo incontro. E’ importante che lui ci sia, perché ci aiuta a spingere costantemente fino a che non arriviamo ad eseguire correttamente ciò che ci chiede. Conosciamo il suo stile, ci prepara nel miglior modo possibile ad una stagione che non sarà semplice per noi che siamo una squadra giovane: è un bene che sia così.


Sì, Caja e Claudio Coldebella mi hanno chiamato presto. Ma con il coach a dir la verità parlavo già durante le stagioni scorse: siamo sempre rimasti in contatto dopo la prima esperienza qui e mi ha sempre detto che mi avrebbe ripreso con lui una volta tornato in Serie A. Quando è stato confermato dalla Openjobmetis anche per questa stagione mi ha telefonato e per me dire di sì è stata una decisione semplicissima: volevo dimostrare di essermi meritato una seconda chance per i miglioramenti che ho fatto nei due anni in A2. Quella di Varese è una situazione ottimale per il sottoscritto: so cosa vuole il coach da me e so che mi conosce molto bene.

Molto, tutte e tre. Ho adorato la gente di Matera ma non militavo in una squadra forte: ho imparato molto in quei mesi ma non è stato facile giocare lì. A Trapani con Ugo (Ducarello) e Matteo (Jemoli) mi sono trovato benissimo, anche se giocavo da quattro che non è proprio il mio ruolo. Ad Udine, infine, ritengo di aver avuto la crescita più significativa: ho fatto il tre tutta la stagione, è il ruolo in cui ho sempre voluto esprimermi, fin dal college.


No, non lo sapevo, però è un dato che mi soddisfa molto. Io non sono altissimo ma ho le braccia lunghe e credo che il gesto tecnico del rimbalzo sia legato allo sforzo ed all’attenzione che si presta, non tanto all’altezza.

In realtà non sapevo cosa aspettarmi ma avevo voglia di mettermi alla prova. Nella mia prima parentesi a Varese non avevo mostrato in pieno le mie qualità, non sapevo cosa attendermi in questo ritorno ma sono sempre stato fiducioso nelle mie abilità e nelle mie capacità. Ora sto giocando molto, ho un minutaggio elevato perché il coach crede in me e ciò mi permette di fare di più in campo.


Al college tiravo molto da tre: in una partita arrivai a segnarne sette. All’estero, invece, ho dovuto adattarmi ad uno stile di gioco e di tiro totalmente diversi. Ammetto che non è stato facile all’inizio comprendere tutte le situazioni ed i ritmi. L’esperienza in A2 mi ha permesso di imparare anche sotto questo aspetto, ho iniziato a prendermi più tiri, anche in allenamento. Ogni estate, poi, dedico parecchio tempo ad esercitare questo fondamentale.


Sono due squadre molto diverse l’una dall’altra. Nel roster della prima c’erano davvero dei grandi giocatori, ma purtroppo abbiamo trovato tardi la quadra e non siamo riusciti ad arrivare ai playoff. Quella era una squadra con più talento, questa ha molto più chimica.

Il mio sogno è di arrivare passo dopo passo al più alto livello possibile: mi piacerebbe arrivare a giocare le coppe, la Champions League, l’Eurocup, l’Eurolega. Ma è troppo presto per dire se ce la farò.

Crescendo ho sempre tifato per i Philadelphia 76ers, ma ammiravo anche Kobe Bryant. In epoca più recente, Westbrook e Paul George sono stati i miei modelli: da questa stagione giocano insieme ed è strano che sia accaduto. Poi al momento mi fa impazzire anche Joel Embiid: nessuno si aspettava fosse così completo e potesse giocare in questo modo. Joel è il nuovo Hakeem Olajuwon.

Nelle settimane scorse è arrivato qui il mio cane, un bulldog francese, mi tiene molto impegnato. Oltre a questo, mi piace guardare tante serie tv con gli altri compagni di squadra, come Norvel Pelle e Damian Hollis, che sono quelli con i quali trascorro più tempo: ci troviamo spesso anche perché a differenza di altri non abbiamo una famiglia qui con noi. In estate invece mi piace viaggiare per l’America e non solo. Adesso mi sto anche interessando a Bitcoin, che è un sistema di pagamento ed investimento che sta crescendo molto e sta diventando popolare.

Sono più nigeriano: i miei genitori quando ero giovane si arrabbiavano sempre quando dicevo in giro di essere americano. Hanno sempre voluto che fossi orgoglioso di essere nigeriano e che mi ricordassi da dove vengo, pur essendo nato negli States. Cerco di andare in Nigeria il più spesso possibile e spero di tornarci anche la prossima estate, per trovare zii e cugini che ancora risiedono lì.


Non mi piace come presidente. Prima che fosse eletto non facevo particolarmente caso alle sue opinioni, ma ora che è presidente non amo questo suo cercare di dividere la popolazione. Apprezzavo Obama invece, non tanto per le sue caratteristiche o le sue idee, ma perché cercava unione nel popolo. E come lui anche Bush, entrambi erano sinceri nel parlare alla gente nei momenti difficili, Trump non lo è. Legge i discorsi dal foglio, è egoista, finge compassione. C’è molta divisione ora negli Stati Uniti. Ed è un problema.

Sono in grado di ordinare il cibo al ristorante, di andare al supermercato e chiedere: in generale riesco a farmi capire e a sviluppare brevi discorsi. Capisco molto, ma devo migliorare nel parlare. Però a Varese mi trovo bene, ho i miei posti preferiti dove mangiare, spesso vado alla Botte, all’Officina del Tram, alla Tana d’Orso e al Bologna.


Papà e mamma mi mancano, non sono mai stati qui e mi piacerebbe che riuscissero a venire a vedere una partita. Mio fratello, invece, è stato a Varese di recente. In certi momenti tutti i componenti della mia famiglia mi mancano da morire: durante la scorsa stagione mia sorella si è sposata, era ottobre, e non sono riuscito ad esserci. Così come il mio migliore amico si è sposato il mese scorso e ho dovuto saltare anche il suo. Però tutti sono orgogliosi di me. E questo mi conforta.