Se Pietro Barbarito fosse il presidente di una squadra di Serie A, il calcio italiano avrebbe un personaggio nel vero senso della parola. Parlare con lui arricchisce e, a cinque giorni dalla ripresa del campionato di Eccellenza, abbiamo incontrato Barbarito, patron del Verbano, che domenica farà visita al Varese.
Non scherziamo: il mio Verbano è sempre Davide e il Varese è il gigante Golia. All’andata abbiamo perso in casa 6-0…
Alla vigilia avevo detto: «Al Varese una bella vittoria e al Verbano un grande incasso». Quello dei botteghini è arrivato puntuale ma siamo stati costretti a incassare anche sei gol. Troppi. Il Varese ha certamente esagerato perché si sarebbe potuto fermare sul 4-0, invece di inseguire un risultato più pingue, e questo ci ha fatto arrabbiare un pochino…
Direi che questo è il Verbano dei miracoli e il titolo di campione d’inverno è nostro perché il Varese non c’entra nulla con questa categoria.
Di tutto. La nostra è una delle squadre più giovani, con sette fuori quota e costiamo almeno sette volte meno del Varese, se non otto. Siamo la dimostrazione che non bisogna spendere così tanto per arrivare in alto. Sono sempre stato oculato e i soldi vanno risparmiati perché non si sa mai: non bisogna farsi trovare impreparati agli inverni duri che potrebbero profilarsi all’orizzonte.
L’allenatore Costanzo Celestini, che rende la squadra una delle migliori da quando sono al Verbano e cioè da 23 anni.
Per caso: Alessandro Bratto, nostro difensore, mi aveva segnalato che suo suocero fa l’allenatore. Gli avevo chiesto il nome e appena avevo saputo che si trattava di Celestini ero rimasto stupito, domandandogli: «Chi, l’ex centrocampista del Napoli di Maradona?». Ho conosciuto così Costanzo con cui è scattato subito il feeling giusto. È un fuoriclasse che non c’entra nulla con questa categoria: è con noi da tre anni ma io spero rimanga a vita al Verbano.
Mi chiamano così ma anche Di Marco è rimasto dieci anni da noi. Quanto al soprannome posso dire che, soprattutto quando ero più giovane e vulcanico, mi piaceva fare l’allenatore e ci prendevo sempre.
Bisogna chiederlo al giornalista che me l’ha affibbiato. È un nome che mi piace e me lo tengo stretto.
Non dite queste cose e poi Barbarito è un ragazzo con i piedi per terra. Per me è stata una libidine stare due anni di fila in D, un lusso per Besozzo, paese di ottomila abitanti, e anche l’Eccellenza è già troppo per questa realtà. Questa categoria io la faccio da più di vent’anni solo per amore del Verbano e del campo sportivo: il primo in cui ho giocato, dopo essere arrivato dal meridione.
Sono originario di Accettura, paese in provincia di Matera sperduto tra le montagne, dove io facevo il pastorello. A undici anni sono arrivato a Besozzo e, finita la terza media, mi sono messo a lavorare perché dovevo aiutare i genitori. Ho fatto anche un provino nel Besozzo perché volevo giocare con il mio professore di educazione fisica Pierluigi Rossi, in Promozione, che all’epoca era selettiva. Non ce l’ho fatta e sono sceso in Prima e Seconda categoria poi il destino ha voluto che a soli 35 anni prendessi il Verbano e adesso la favola continua.
È incominciata dopo 18 anni trascorsi in fabbrica alla Ire. Un giorno, il Signore ha guardato giù dal cielo: ha visto un bravo terroncello e l’ha fatto innamorare degli estintori, con cui ha avuto successo.
Prima che la Ire si chiamasse così, era la Ignis di Giovanni Borghi, che dunque è stato il mio titolare. L’ho sempre stimato e, se sono milanista da quando avevo sei anni, sono diventato anche tifoso del Varese. Nel mio piccolo, amo comandare e in tutti questi anni non ho mai conosciuto la parola “fido” per il Verbano, che non ha bisogno dell’aiuto delle banche. In casa biancorossa ci sono stati tre fallimenti nel giro di 28 anni…
La città è ricca e ci vogliono dieci varesotti che tirino fuori i soldi veri per tenerla a certi livelli ma con costanza. Se vai in B o in A e dopo dieci anni ricadi in Eccellenza è tutto inutile. Serve continuità.
Sulla carta il pronostico è scontato ed è tutto per il Varese che, però, questa volta, non ci darà sei gol e dovrà sudarsi la partita. I miei ragazzini arriveranno al Franco Ossola con il sorriso e, comunque vadano le cose, ritorneranno a Besozzo con il sorriso perché per loro il calcio è solo passione e non vuol dire soldi. Correranno per 95 minuti come dei disperati.
Ma se sono astemio…
I miei sono un prosecco vivace che cercherà di far diventare aceto l’amarone Varese.