– «Lidia Macchi non fu uccisa al Sass Pinì». Mario Tavani, ex direttore dell’istituto di medicina legale di Varese che l’8 gennaio 1987 eseguì l’autopsia sul cadavere della giovane studentessa varesina assassinata con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio di 30 anni, ribadisce le conclusioni peritali già sottoscritte all’epoca. Il cadavere di Lidia fu trovato nella mattina del 7 gennaio 1987 al Sass Pinì di Cittiglio, località boschiva all’epoca frequentata da tossicodipendenti.
Non lontana dall’ospedale di Cittiglio dove Lidia si era recata quella sera a trovare l’amica Paola Bonari ricoverata in seguito a un incidente stradale. Per quell’omicidio fu arrestato il 15 gennaio 2016 Stefano Binda, 50 anni di Brebbia, ex compagno di liceo della ragazza. Nell’ordinanza che ha portato Binda in carcere il gip Anna Giorgetti ipotizza che la giovane venne uccisa al Sass Pinì da qualcuno che conosceva, incontrato in ospedale al quale diede un passaggio nella sua Fiat Panda. Ritrovata vicino al cadavere.
«Impossibile che l’omicidio sia stato commesso lì dove il corpo fu trovato – ha spiegato Tavani fornendo argomentazioni scientifiche alla sua ipotesi – Lidia venne uccisa con 29 coltellate». Coltellate inferte alla gola «i fendenti recisero arterie importanti», al torace e infine, con la ragazza «moribonda e caduta a pancia in giù alla schiena», ha detto il medico legale.
«Lesioni che ha certamente provocato una massiva perdita di sangue da parte della vittima», ha detto Tavani che ha aggiunto a titolo esplicativo: «il sangue è sgorgato a fiotti con quel tipo di ferite. Il piccolo abitacolo della Panda avrebbe dovuto essere completamente coperto di materiale ematico».
Così invece non è stato, come del resto hanno dimostrato le fotografie scattate all’epoca dell’interno e dell’esterno della vettura della ragazza.
«Che Lidia abbia perso un’enorme quantità di sangue – ha continuato Tavati – lo dimostra l’anemia dei visceri». La vittima perse dai 5 ai 6 litri di sangue. Sangue di cui sulla sua auto non v’è traccia alcuna. «Ne abbiamo trovato tracce di una simile quantità di liquido ematico sul terreno dove il corpo fu trovato disteso – ha detto Tavani – Ricordo che grattai la terra per verificare persino l’ipotesi che il sangue potesse essere stato assorbito dal terreno nonostante il gelo. Ma non era così. Non fu uccisa sulla sua auto. Non fu uccisa al Sass Pinì dove il cadavere venne ritrovato».
Tavani smentisce la ricostruzione in ordinanza. E precisa anche un secondo punto: «dai 30 ai 40 minuti prima di morire la giovane ebbe il suo primo rapporto sessuale – ha detto il medico legale – in sede autoptica non abbiamo trovato alcuna lesione, alcun trauma che indicasse che la ragazza abbia cercato di sottrarsi al rapporto stesso».
Non vi è prova di uno stupro. Anche questo contestato a Binda come aggravante. Tuttavia, il gip in ordinanza precisa che Lidia potrebbe essere stata costretta a subire il rapporto sessuale sotto la minaccia di un coltello. Una minaccia di morte non lascia lesioni, ma sempre di stupro si tratta.
Durante l’udienza di ieri sono tuttavia emerse discrepanze molto rilevanti tra la ricostruzione in ordinanza e quella fatta dai periti all’epoca. Lidia potrebbe essere stata uccisa altrove, magari sull’auto dell’uomo con cui ebbe il rapporto sessuale, e poi trasportata sino al Sass Pinì già morta (sono minime le tracce di sangue trovate sulla sua Panda) e lasciata in un luogo abitualmente frequentato da tossicodipendenti quasi che l’assassino abbia voluto mettere in scena un’aggressione ai danni della giovane magari a scopo di rapina. Ipotesi completamente diversa da quella dell’accusa che voleva Lidia e Binda innamorati segreti con lei che voleva salvarlo dalla droga. Fatti questi smentiti dalla madre della vittima oltre che da tutti gli altri testi ascoltati sinora.