Avete presente quando siete al cinema, prima che inizi il film? Quando siete lì con i vostri bambini, e fate la solita raccomandazione: «Se dovete andare in bagno, ditelo ora: perché poi si spegne la luce e non ci si vede più». Ecco: anche nella vita c’è un momento in cui “bisogna farlo ora”: prima che si spengano le luci, prima che non ci si veda più, prima di rischiare di cadere per terra e farsi male o fare la figura del cretino davanti a tutti.
Bisogna essere bravi a capire quando quel momento arriva e alzarsi: o, nel mio caso, scendere. Quel momento è arrivato, e io scendo qui. I segnali erano lì da un po’: prima timidi, poi sempre più insistenti. Impossibili da ignorare anche per uno come me, talmente innamorato del suo lavoro da cancellare dalla mente lo spettro del giorno in cui dire basta. Il punto è che un ciclista dev’essere una macchina perfetta: nelle gambe, ma anche e soprattutto nella testa. Non può permettersi di pensare, non può concedersi il lusso di staccare il cervello. Io ho sempre corso così, ho sempre vinto così: maniacale fino all’estremo nella preparazione di ogni allenamento, di ogni corsa, di ogni grande giro. Pedalavo, facevo fatica, e pensavo soltanto alla fatica che avrei fatto il giorno dopo. Sempre così, ogni volta così. Negli ultimi mesi ho sorpreso troppe volte la mia mente mentre pensava senza il mio permesso. Pensava a trovare il motivo per cui le gambe non giravano più come una volta, pensava a cercare una ragione per quella maledetta giornata allo Stelvio (ti ricordi, vero, Caio?), pensava a inventarsi il modo per convincersi che c’era ancora margine, ancora la possibilità di fare qualcosa di grande. No, così non andava bene: una mente che pensa a queste cose è una mente consuma energia e per un ciclista non c’è niente di più prezioso dell’energia. Le luci stavano per spegnersi, e non potevo aspettare ancora: ho salutato tutti nel modo che mi ero sempre immaginato. No, niente corse d’addio o cerimonie troppo sdolcinate o troppo chiassose. È stato perfetto così: alla presentazione del “mio” Giro d’Italia, con un video sobrio e sottovoce. Alla mia carriera non potrei chiedere nulla di più di quello che mi ha dato, compreso il finale: e in questi casi, bisogna ringraziare un po’ di persone, no? Il problema è che non mi basterebbe una pagina, non mi basterebbe tutta l’edizione della Provincia di oggi, non mi basterebbero le pagine di un libro per ringraziare tutti quelli che se lo meritano. Ma prometto che lo farò, personalmente, con tutti e con ciascuno. Oggi sono felice, sereno: ho quattro figli che mi aspettano a casa e che in tutti questi anni si sono sacrificati alle assenze di un papà giramondo per dieci mesi all’anno. Quattro figli che ora si meritano quello che fino a ieri avevo riservato alla bicicletta: il mio tempo, la mia energia e i miei pensieri. Se sono felice io dovete esserlo anche voi, voi tutti: tifosi, amici e simpatizzanti che avete reso più belli i miei anni in sella. Non finisce qui, e questa è una promessa: il viaggio continua, anche se su gambe diverse. Ho ancora delle storie da raccontare, ho ancora dei sogni da realizzare, ho ancora delle idee a cui dare vita: ecco perché ho smesso prima che si spegnessero le luci. Perché per fare queste cose ho bisogno di vederci bene. Io continuerò a essere Ivan Basso, così come mi avete conosciuto: e questo più che prometterlo a voi lo prometto a me stesso. Sempre come una volta, in salita controvento.