«Ero solo incazzato. Non ho mai voluto fare del male a nessuno». L’ammenda di , marocchino di 24 anni, arrestato a Brunello nell’aprile del 2016 dagli uomini della Digis di Varese con l’accusa di vicinanza agli ambiti terroristi del Daesh frutta uno sconto di pena di 8 mesi. In primo grado Khachia era stato condannato a 6 anni, da ieri diventati, in sede d’Appello a milano 5 anni e due mesi. Khachia in aula ha affermato di essere stato furioso per le sorti del fratello Oussama,
foreign fighter di 30 anni, morto nel 2015 in Iraq dopo essersi unito, in seguito all’espulsione dal territorio Italiano, alle milizie del Califfato in Siria, ma di non aver mai «voluto fare del male a nessuno». Eppure nelle intercettazioni a suo carico lui, assistito dall’avvocato , affermava di voler fare saltare «in aria la questura di Varese». Lì dove suo fratello era stato portato dopo l’arresto. Oussama era radicalizzato. È un fatto. Era passato dal rap alla guerra santa contro l’occidente, lui che a Brunello viveva con tutta la famiglia, vi era cresciuto e aveva trovato lavoro come pizzaiolo. Si era radicalizzato ed era stato scoperto e espulso. Andando a morire in mezzo al deserto. Il fratello aveva seguito le sue orme. Sul web e attraverso telefonate aveva mostrato di voler seguire le orme del fratello. Stando alle intercettazioni qualcuno dalla Siria, dal Califfato, aveva persino contattato la famiglia dopo la morte di Oussama offrendosi di far pervenire denaro in appannaggio del sacrificio versato. Il “piccolo” Khachia, intercettato, meditava di vendicare il fratello. Di onorarne memoria seguendone le orme. Provati i contatti con qualcuno in Siria, forse in quota Daesh. Il giovane era stato arrestato. In primo grado aveva parlato di “sbruffonate”, prendendo sei anni.
In appello ha detto di essere “incazzato” ma di non voler fare male a nessuno. Sconto minimo per lui. Quella della famiglia Kahchia di Brunello è comunque un’epopea. Nel maggio scorso i genitori dei due ragazzi, il padre in particolare cin quel callo sulla fronte per quanto stava chino nella preghiera, erano stati a loro volta espulsi per vicinanza a ambienti radicali. Una delle sorelle è stata denunciata per simulazione di reato. Ha denunciato di essere stata sequestrata per un’ora e seviziata, sempre a Brunello, per ragioni di odio razziale. I “sequestratori” l’avrebbero accusata di terrorismo, le che mai era stata indagata. Le indagini hanno svelato un’altra verità: nulla di quello che aveva denunciato la donna era vero. È indagata per simulazione di reato.